Mercoledì 24 Aprile 2024

"Bimbi inguaribili, sulle cure palliative tanti ritardi e mancanza di risorse"

Elena Castelli, segretario generale della Fondazione Maruzza onlus: "Non bastano gli hospice, fondamentale l'assistenza a casa. I piccoli devono avere una vita il più possibile normale"

Elena Castelli

Elena Castelli

Roma, 6 ottobre 2018 - "L’hospice pediatrico è un anello della rete, un posto dove il bimbo passa un momento della malattia, non funziona come per l’adulto, dove vanno i morituri. Uscendo dall’ospedale al piccolo paziente viene garantita l’assistenza perché sia pronto a tornare a casa. Nello stesso tempo, s’istruiscono i genitori. Magari un bambino è attaccato a un respiratore ma la mamma non lo sa adoperare. Così si fa un piano terapeutico e si attiva un pediatra di famiglia. Questo è quello che la legge prevede". Elena Castelli, segretario generale della Fondazione Maruzza onlus, prova a rispondere alla domanda: ma se la legge sulle cure pediatriche palliative è del 2010, perché in sostanza solo Liguria e Veneto sono a posto? “Il titolo V delega la sanità alle Regioni - risponde-. In tante hanno deliberato. Ma da questo al mettere in atto la realizzazione di una struttura così complessa...”.

 La famosa rete.

“Questi bambini tornano a casa e hanno una vita molto normale. Le malattie prese in carico dalle cure palliative sono magari rare e possono durare anni. Un bambino diventa ragazzo”.

Eppure l'80% dei piccoli malati, è stato calcolato, resta fuori... 

“Ci sono resistenze, si obietta che non ci sono soldi. Le strutture sono importanti ma questo non è l’unico problema. Fondamentale è fare le cure a casa”.

Ma qual è l’atteggiamento delle famiglie? 

“Le cure palliative sono sempre state considerate quelle che si fanno quando non resta altro, nelle ultime settimane di vita di una persona. Anche un medico che dice alla famiglia, non siamo ancora arrivati a quel livello, commette un errore enorme. Si punta non alla guarigione ma al benessere del paziente”.

La vostra onlus è la conferma del privato che supplisce alle carenze del pubblico.

“E' così. Sicuramente c’è anche una resistenza culturale. Lo posso anche capire. Quando dici a una persona che un bimbo non può guarire, uno si mette in difesa, perché è un tema molto duro”.

Poi contano i numeri.

“Se si pensa a quanti sono gli adulti e gli anziani che avrebbero bisogno di cure palliative, ci si rende conto che i 35mila bimbi possono essere considerati niente, al confronto. E poi è difficile la comunicazione con la famiglia. Perché c’è stata tanta cattiva informazione, anche da parte dei giornalisti. Interpretazione assurde, del tutto fuorvianti".

Altro capitolo spinoso, le risorse.

"Non esiste un capitolo di spesa per le cure palliative pediatriche. C’è un capitolo di spesa per le cure palliative in generale. Siccome siamo tutti poveri, forse c’è una certa reistemnza a destinare una quota di fondi ai bambini".