Venerdì 19 Aprile 2024

"Così le ragazze imitano i maschi violenti"

Il 14% compie raid punitivi, i casi sono in crescita. La psichiatra Dell’Osso: stiamo assistendo a una sorta di emancipazione distorta

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di Alessandro Belardetti

Baby bullismo al femminile, un fenomeno in crescita. L’incremento dei comportamenti aggressivi e violenti fa riflettere l’opinione pubblica e preoccupa le autorità, chiamate a trovare in tempi rapidi le contromisure a questa tendenza. Le violenze vengono subito pubblicate sui social perché le gang vogliono umiliare ancora di più le vittime e rinforzare il sopruso, creando quel circolo di terrore che pietrifica le ragazzine nel mirino. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale adolescenza, raccolti su circa 8mila giovani tra i 14 e i 19 anni, il 4% delle ragazze sono cyberbulle e il 7% sono bulle perché mettono in atto delle prepotenze più di tipo diretto, fisico o verbale. Sempre per quello che riguarda gli aspetti legati all’uso di Internet, oltre due adolescenti femmine su dieci hanno fotografato o filmato un compagno per prenderlo in giro e il 3% ha diffuso false informazioni nella rete su un conoscente o compagno. Più di una adolescente su dieci ha fatto commenti negativi o ha offeso una persona nei meandri dei social e delle chat.

Non mancano, però, le forme di violenza fisica – quindi diretta – messe in atto senza difficoltà anche dalle ragazze: il 7,5% di loro dichiara di aver partecipato a risse e il 14% delle adolescenti ha picchiato un’altra persona. Una ragazza su dieci ha commesso anche atti vandalici (come vandalizzare vetrine, auto, autobus, imbrattare i muri o rovinare il suolo pubblico) e il 2% ha usato un’arma (le più frequenti sono coltellini, tirapugni e manganelli). Un’indagine della polizia di Foggia sul caso di tre baby bulle che seminavano il terrore tra i ragazzini della città ha trovato un ostacolo frequente e sempre più difficile da superare, "la paura di denunciare sia delle vittime sia dei genitori delle vittime".

"Siamo abituati a parlare di aggressività maschile, ma è molto frequente anche quella al femminile – spiega la psicoterapeuta Maura Manca, oristanese di 43 anni –. Per le ragazze nel branco scatta il cosiddetto ‘effetto deresponsabilizzazione’: io commetto un atto ma, visto che siamo in tanti, divido la colpa per il numero di persone coinvolte, così il peso emotivo è più facile da gestire. Le gregarie, nei colloqui psicoterapuetici individuali, ammettono che non rifarebbero la stessa cosa, mentre il capobranco ritiene di fare tutto nel modo giusto. Per queste ragazze la condotta violenta è divertente ed è proprio questo che crea il problema della reiterazione: si perde di vista il movente del sopruso, l’obiettivo diventa solo massacrare la vittima e creare in lei una condizione di terrore. Le lesioni psichiche della vittima, che non è più libera e si sente oppressa dal branco, sono gravi: si ha paura, non c’è serenità e si vive in una condizione di allarme costante".

La dottoressa Manca, esperta di giovani e presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, conclude: "I video delle violenze vengono pubblicati sui social perché i ragazzi vivono ogni emozione mediata dagli smartphone. Loro condividono tutto on line, non si staccano mai da quel dispositivo. Nel momento in cui automaticamente postano l’aggressione, pensano di fare qualcosa di normale perché il loro filtro è distorto: una violenza di gruppo è corretta, come andare a fare l’aperitivo. Non pensano assolutamente di commettere un reato: il criminale, infatti, non pubblica un video delle sue malefatte perché sa che sta compiendo un illecito. La ragazzina, invece, vuole rinforzare la condotta violenta e umiliare ancora di più la vittima. Il ‘like’ non c’entra: è la normalità della violenza". La professoressa Liliana Dell’Osso, direttore della clinica psichiatrica dell’università di Pisa e presidente del collegio dei professori ordinari di psichiatria italiani, analizza: "Un malinteso concetto di emancipazione ha prodotto, nelle ultime generazioni, una sorta di mascolinizzazione delle ragazze: in pratica assistiamo a una rinuncia alle prerogative femminili a favore di ruoli modellati su stereotipi maschili".