Mercoledì 24 Aprile 2024

Con i bonus non salveremo i lavoratori

Raffaele

Marmo

Innanzitutto i numeri. A fine aprile gli analisti dell’Istat segnavano due dati: l’inflazione acquisita dell’anno a quota 5,2 per cento, l’aumento medio annuo delle retribuzioni contrattuali allo 0,8 per cento. Perdita secca del potere d’acquisto di circa il 5 per cento. Con un livello dei prezzi più elevato, come è a maggio, possiamo attenderci una caduta anche peggiore dei redditi da lavoro.

Ma dobbiamo intenderci per evitare alibi: non è certo la rincorsa dei prezzi attuale a creare l’emergenza salariale italiana. Tra impieghi sottopagati e in nero, part-time involontari e obbligatori, straordinari inseriti fuori-busta, contratti-pirata e formule da sfruttamento continuo, il risultato è stato quello di una drastica erosione del potere d’acquisto degli stipendi italiani negli ultimi trenta anni, mentre negli altri Paesi europei crescevano.

Si obietterà che altrove la dinamica retributiva ha seguito la produttività da noi più che stagnante: tant’è che nelle realtà più efficienti le retribuzioni sono più elevate grazie alla contrattazione aziendale. E sicuramente c’è del vero. Ma è altrettanto vero che sempre nell’altrove a noi vicino non ci sono i fenomeni degenerativi prima accennati nel livello in cui sono presenti in Italia. E, allo stesso modo, la contrattazione decentrata è largamente più diffusa.

Ora si aggiunge l’impennata dell’inflazione. E, come osserva il governatore Ignazio Visco, va evitata la spirale prezzi-salari modello anni Settanta-Ottanta. Ma va anche affrontata strutturalmente la storica "povertà" degli stipendi dei lavoratori italiani. E nessuno può chiamarsi fuori. Non possono farlo le imprese, scaricando responsabilità sul caro-energia o sullo Stato. Non può farlo il governo, ricorrendo ai bonus e non, invece, al taglio strutturale del cuneo fiscale. Non possono farlo i sindacati, che devono pretendere una legge contro i contratti-pirata se davvero voglio evitare quella sul salario minimo.