Giovedì 25 Aprile 2024

Cogne, 20 anni fa l’inferno in casa. "Mio figlio vomita sangue, aiuto"

Alle 8,28 Annamaria Franzoni chiamò i soccorsi per il piccolo di tre anni. Il pm: resto convinta, è stata lei

Annamaria Franzoni

Annamaria Franzoni

"Venite, il mio bambino sta male, vomita sangue, presto, presto". Erano le 8.28 del 30 gennaio di vent’anni fa e l’urlo disperato di Annamaria Franzoni al 118 scatenò d’improvviso un allarme e una serie di domande. Cos’era successo? E quando? E perché?

A Cogne nasceva un giorno di cielo turchino, di luce alta e senza neve, e il massiccio del Gran Paradiso, laggiù, mostrava le splendide facciate dei suoi grandi ghiacciai. In quello scenario dai toni quasi magici si inserì l’urlo della donna e fu subito un frenetico accorrere di vicini di casa, di medici, di infermieri e di carabinieri. "Ho accompagnato mio figlio Davide allo scuolabus e al ritorno ho trovato Samuele tutto insanguinato. Gli è scoppiata la testa", riuscì a sussurrare la Franzoni prima di rifugiarsi tra le braccia di un’amica. Samuele Lorenzi morì così, a 3 anni, nella baita di famiglia, a Montroz, poche case sopra Cogne, massacrato dalla tempesta di diciassette violentissimi colpi sferrati con un oggetto mai ritrovato. Era un bravo bambino sveglio e vivace, come tanti suoi amichetti del paese. Cogne riposava nella quiete di sempre e la tragica fine del bimbo innescò un manto di sospetti e di paura anche perché, prese via via spinta, da una strada all’altra, una voce secondo la quale un "mostro" ancora armato del suo misterioso oggetto si aggirava qua e là, per il paesino, in cerca di piccini da uccidere.

"Qui non c’è nessun mostro, la verità è nei confini della frazione di Montroz", tagliò corto l’allora sindaco Osvaldo Ruffier. E lì, infatti, tutt’intorno alla figura della madre, si fermò l’inchiesta sorretta dalle minuziose indagini dei carabinieri del Ris del comandante Luciano Garofano e da una serie di elementi considerati "prove inoppugnabili". "Sono innocente, non sono stata io", disse e ribadì ogni volta la Franzoni da un interrogatorio all’altro, da un’intervista all’altra sorretta anche dal marito Stefano convintissimo di un errore giudiziario.

Ancora oggi non ha dubbi, invece, Maria Del Savio Bonaudo, allora procuratore capo di Aosta, in pensione. "Sono e resto convinta che la signora sia colpevole. E non lo dico perché è stata condannata nei tre gradi di giudizio, ma per il fatto che c’erano le prove. Abbiamo condotto le indagini con intelligenza, attenzione e puntigliosità, abbiamo corretto un punto sbagliato del medico legale e abbiamo sentito tutti i possibili sospetti, indicati dalla famiglia. Poi i militari del Ris hanno rilevato il sangue sulle ciabatte e hanno trovato il pigiama sotto le lenzuola. Io stessa sono andata in tv per dire ai paesani che non c’era nessun mostro in circolazione", ricorda adesso l’ex procuratore.

Caso risolto, allora? Per la Giustizia, sì: condanna a 30 anni in primo grado, nel 2004, poi ridotta a 16, quindi a 11, arresti domiciliari e libertà definitiva nel 2019. Eppure ancora adesso, a 20 anni dall’alba tragica di quel 30 gennaio 2002, un robusto fronte di innocentisti propone di volta in volta nuove ricostruzioni e altre alternative sulla verità di quel massacro. Condanna a parte, due elementi rimangono tuttora avvolti da un mistero: il movente e l’arma del delitto.

Lei, la protagonista del ‘giallo di Cogne’ si è trasferita da Montroz a una casetta di Ripoli Santa Cristina, sull’Appennino tosco emiliano e più tardi, a Monteacuto Vallese, pochi chilometri a monte, dove risiedono i genitori e una parte dei fratelli. Per Natale è tornata a Cogne. Adesso con il marito Stefano, con il figlio grande Davide e con Gioele, nato dopo l’omicidio, vive in una bella villa a un piano, quasi a metà strada dal palazzo di famiglia, dal cimiterino dove riposa Samuele e dall’agriturismo ‘I Castagneti’, gestito con la madre e con le sorelle. Sbriga lavori di cucina, serve a tavola, esce per la spesa, per la messa e per gli amici. Ma a Cogne prosegue, ancora dopo 20 anni, il macabro turismo: "È quella la casa?".