"Venite, il mio bambino sta male, vomita sangue, presto, presto". Erano le 8.28 del 30 gennaio di vent’anni fa e l’urlo disperato di Annamaria Franzoni al 118 scatenò d’improvviso un allarme e una serie di domande. Cos’era successo? E quando? E perché? A Cogne nasceva un giorno di cielo turchino, di luce alta e senza neve, e il massiccio del Gran Paradiso, laggiù, mostrava le splendide facciate dei suoi grandi ghiacciai. In quello scenario dai toni quasi magici si inserì l’urlo della donna e fu subito un frenetico accorrere di vicini di casa, di medici, di infermieri e di carabinieri. "Ho accompagnato mio figlio Davide allo scuolabus e al ritorno ho trovato Samuele tutto insanguinato. Gli è scoppiata la testa", riuscì a sussurrare la Franzoni prima di rifugiarsi tra le braccia di un’amica. Samuele Lorenzi morì così, a 3 anni, nella baita di famiglia, a Montroz, poche case sopra Cogne, massacrato dalla tempesta di diciassette violentissimi colpi sferrati con un oggetto mai ritrovato. Era un bravo bambino sveglio e vivace, come tanti suoi amichetti del paese. Cogne riposava nella quiete di sempre e la tragica fine del bimbo innescò un manto di sospetti e di paura anche perché, prese via via spinta, da una strada all’altra, una voce secondo la quale un "mostro" ancora armato del suo misterioso oggetto si aggirava qua e là, per il paesino, in cerca di piccini da uccidere. "Qui non c’è nessun mostro, la verità è nei confini della frazione di Montroz", tagliò corto l’allora sindaco Osvaldo Ruffier. E lì, infatti, tutt’intorno alla figura della madre, si fermò l’inchiesta sorretta dalle minuziose indagini dei carabinieri del Ris del comandante Luciano Garofano e da una serie di elementi considerati "prove inoppugnabili". "Sono innocente, non sono stata io", disse e ribadì ogni volta la Franzoni da un ...
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