Caso camici, prosciolto Fontana "Non ci fu frode in quella fornitura"

Il materiale prima venduto e poi regalato alla Regione dall’azienda del cognato. Il governatore della Lombardia: ora sono sereno

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di Mario Consani

Era già "abbastanza tranquillo". Perché, ha detto, "tutte le mie azioni sono state improntate a tutelare i cittadini e al tentativo di combattere il virus". Ora, prosciolto dall’accusa di frode in pubbliche forniture per la storia dei camici antivirus, è anche "più sereno" il presidente in carica della Regione Lombardia il leghista Attilio Fontana ormai probabile ricandidato l’anno prossimo. Tanto più dopo la benedizione da parte di Silvio Berlusconi. "Il suo proscioglimento è una doppia buona notizia – scrive l’ex cavaliere – per lui e per la sua famiglia, coinvolti in un processo senza alcun motivo e soprattutto per i cittadini lombardi che sono stati trascinati in una polemica incomprensibile che voleva minare la credibilità del più alto rappresentante dell’istituzione regionale, in un momento per loro già molto difficile. Peccato per i giustizialisti".

Da ieri, dunque, il numero uno della giunta lombarda ha risolto i sui problemi giudiziari. Non luogo a procedere perché "il fatto non sussiste", e finisce in archivio la vicenda dei camici prima venduti e poi regalati alla Regione dall’azienda Dama spa di suo cognato Andrea Dini in piena emergenza pandemia. Dal momento che proprio Fontana avrebbe spinto Dini alla donazione (per eliminare sospetti di favoritismi nella commessa) ma che sempre lui poi gli aveva fatto di tasca propria un assegno da 250 mila euro per risarcirlo sia pure in parte, la vicenda era stata intepretata dalla Procura come una frode ai danni dell’ente pubblico: alla fine, infatti, in Regione era arrivato un numero di camici (donati sì e non venduti) inferiore però a quello previsto in origine. In base al contratto del 16 aprile 2020, Dama spa avrebbe dovuto fornire 75mila camici e altri 7mila set di guanti e protezioni per 513mila euro. Quando emerse il conflitto di interessi (la moglie di Fontana aveva il 10% di Dama), gli indagati, per i pm, avrebbero tentato "di simulare l’esistenza" dall’inizio "di un contratto di donazione" per i 50mila camici già consegnati, mentre la restante parte, 25mila pezzi, non arrivò più in Regione. Da qui l’accusa di frode con danno "all’interesse della pubblica amministrazione e ai cittadini".

Ieri però il gup Chiara Valori ha dato agli stessi fatti tutt’altra lettura. E in attesa di vedere le motivazioni del suo verdetto di proscioglimento, restano le parole degli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa. "Accusa insosteniibile", dicono. "Se fosse andato a processo, lo Stato avrebbe speso il quintuplo di quello che ha guadagnato con la donazione", aggiunge Pensa. La decisione del giudice, chiarisce il legale, dimostra che "la situazione non aveva alcuna sfumatura penalisticamente rilevante". In sostanza: se la fornitura era stata davvero insufficiente, tutt’al più se ne sarebbe dovuta occupare la giustizia civile. E ancora: "Ci auguravamo di incontrare un giudice che lo riconoscesse. È stata brava, era palese la buona fede di tutti, compreso Dini (il cognato di Fontana, ndr.) che ha ammesso di aver interrotto la fornitura".

Fontana, in conferenza stampa, ammette che il verdetto "sicuramente mi dà molta più serenità, cosa emotivamente importante. Sapere di avere un procedimento in corso, per chi è stato sempre rispettoso della legge, non fa piacere". E un po’ sornione commenta anche l’endorsement del ministro leghista per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, che si è portato avanti facendogli gli auguri per i suoi prossimi cinque anni a Palazzo Lombardia.