Giovedì 10 Ottobre 2024
VALERIO BARONCINI
Cronaca

Carte, armi, altre analisi. È il ‘Modello Strage’

Nuova inchiesta sulla Uno Bianca a Bologna: la ricerca di possibili mandanti e complici dietro la banda armata. Analisi approfondita di armi e documenti per fare luce sui fatti.

Carte, armi, altre analisi. È il ‘Modello Strage’

2 maggio 1991, agguato a un’armeria di Bologna: morì anche l’ex carabiniere Pietro Capolungo, padre di Alberto

Alcuni investigatori lo chiamano ‘Modello Strage’. Ovvero: leggi le carte, rileggile, approfondisci, acquisisci, dai la caccia non solo a chi ha commesso un reato, ma probabilmente a chi lo ha ordinato. Se questo ‘qualcuno’ esiste davvero e se, dopo tanti anni di depistaggi e pasticci, cialtroneria e dolo, ci siano ancora prove. Il ‘Modello Strage’ richiama quel 2 Agosto del giorno più nero della storia d’Italia, il giorno dell’esplosione della bomba alla stazione centrale di Bologna nel 1980, e richiama il lavoro certosino che ha portato ai processi e alle condanne di questi anni. Un secondo tempo non scontato, ma reale. E per la Uno Bianca quel ‘modello’ è applicabile? La digitalizzazione degli atti, la rilettura di particolari finora considerati secondari, l’analisi delle armi e dei proiettili utilizzati, l’eventuale esistenza di un diverso livello, i legami deviati e devianti sono alla base della nuova inchiesta della procura di Bologna.

Un’inchiesta ancora aperta per concorso in omicidio volontario e senza indagati che scava su eventuali responsabilità. Ma che non può – purtroppo – usare la vanga della memoria e la falce penale sui fronti (già prescritti) del depistaggio e della banda armata. Cosa sappiamo, dunque? Non solo i fratelli Savi e Marino Occhipinti, dunque, sarebbero dietro i 24 morti mietuti dal 1987 al 1994 dalla banda formata anche da Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli: Ros e Digos sono al lavoro per capire chi altri abbia agito con loro. E se dietro la Uno Bianca ci fosse davvero solo la famosa ‘targa’. L’inchiesta era nata dall’informativa dei carabinieri sull’intercettazione di Marino Bersani, il padre della ’superteste’ del Pilastro Simonetta, che accusò i Santagata della strage, e su documenti riguardo l’arma che sparò, schedata già nel ’91 tra i possedimenti di Fabio Savi, oltre che dal lungo esposto dei parenti delle vittime che, a maggio scorso, tramite gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser hanno chiesto di fare luce su eventuali mandanti, complicità e coperture alla banda ’sfuggiti’ alla prima inchiesta.

Proprio dalle armi e da nuove acquisizioni potrebbero arrivare sorprese. Aspettiamo. La mole dei documenti che gli investigatori vagliano è enorme: si contano 277 faldoni e 11 allegati per quasi 50 metri lineari, in merito a un arco di tempo che va dal 1990 al 2000, con etichette digitali a 260mila immagini. C’è tutto quello che riguarda la vicenda giudiziaria della banda, dalle prime fasi dell’indagine fino al dibattimento in Cassazione. Ma c’è anche parte del materiale delle Procure di Rimini e Pesaro. Tutti documenti che non hanno mai avuto una lettura organica e che ora potranno riservare sorprese in un quadro globale. E ci sono proprio le carte sulle armi, mai considerate ‘insieme’ finora. Lo sforzo, comunque andrà, non sarà vano. Quei morti meritano un ultimo sforzo. Lo sforzo di tutti lo sforzo della verità.