Giovedì 25 Aprile 2024

Il martirio di Carolina Picchio 10 anni fa, il padre: "Non capii il dolore di mia figlia"

Il suicidio della 14enne per le offese social fece scoprire all’Italia il dramma del cyberbullismo. "La sogno spesso: mi dice di andare avanti. Vivo per salvare altri ragazzi"

Carolina Picchio, 14 anni, era campionessa di sci e atletica (Ansa)

Carolina Picchio, 14 anni, era campionessa di sci e atletica (Ansa)

Bologna, 3 gennaio 2023 - Dieci anni possono essere un tempo infinito. Per chi ha perso una figlia, ogni istante è un macigno sul cuore che non lascia respirare. Ma Paolo Picchio ha scelto di giocare una partita all’attacco, affrontando il suicidio della figlia Carolina a 14 anni nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 2013, a viso aperto. Quel gesto estremo – per colpa di un video intimo diffuso sui social e delle migliaia di commenti offensivi – ha segnato un punto di svolta epocale nella lotta al bullismo on line.

Dieci anni fa il concetto di cyberbullismo era sconosciuto: cosa è cambiato con la morte di Carolina?

"C’è più consapevolezza sul tema, ma si è pure abbassata l’età dei cyberbulli: dieci anni fa avevano 15 anni, adesso dai dieci ai tredici. Anche le vittime sono più giovani, e di conseguenza più fragili".

La devianza digitale è entrata nell’agenda politica. Lo Stato sta facendo abbastanza per evitare ’nuove’ Carolina?

"La legge in suo nome è del 2017, ma i decreti attuativi non sono stati applicati. Nonostante tutto non c’è un focus pieno sul fenomeno. Serve una formazione continua sul cyberbullismo, una svolta educativa e sociale: il mondo virtuale è quello reale ormai. I giovani non comprendono i limiti: quando fanno le challenge estreme per ottenere consensi, provano forti emozioni, ma rischiano anche la vita".

Lei ogni settimana si reca in una scuola italiana per sensibilizzare studenti e docenti. C’è una storia che le è rimasta più impressa?

"I ragazzi hanno una voglia incredibile di raccontare le proprie paure. Il 30-35% dei 10-16enni subisce il cyberbullismo, un dato allarmante. Significa che un giovane su tre ha perso autostima. La settimana scorsa uno studente a Magenta mi ha detto ‘sono tornato ad ascoltarla perché mi fa provare emozioni forti’. Questo è lo scopo di Fondazione Carolina: creare empatia e dialogare coi ragazzi grazie ai nostri esperti".

I genitori nell’educazione digitale sono spesso i responsabili in negativo. Lei sente di aver sbagliato qualcosa?

"Noi adulti sottovalutiamo la gravità delle offese in chat o sui social ai nostri figli. Non ci rendiamo conto del dolore e del disagio che avvertono: sono peggio delle coltellate. Poi, quando i ragazzi si aprono, non siamo pronti ad accoglierli e banalizziamo, magari rispondendo ’è stata colpa tua’. Così il dolore persiste e la chiusura diventa totale".

Se tornasse indietro, c’è qualcosa che farebbe in modo diverso?

"Io e Carolina parlavamo spesso, ma visto che a me lei sembrava una ragazzina forte e vincente – oltre che nello sport anche nelle emozioni –, non ho immaginato il suo dolore. Sicuramente la ascolterei e le parlerei molto di più, farei di tutto per fermare il calendario al giorno prima e tenerla con me".

Potrà mai perdonare i ragazzi che le hanno provocato così tanto dolore?

"Non spetta a me. L’unica cosa che mi ha salvato è stata Carolina. Devo portare avanti il messaggio che ha lasciato nella sua lettera d’addio. Devo salvare tutti i ragazzi che posso, è una specie di calmante per me".

La giustizia è stata giusta?

"Ha fatto il suo corso, grazie al primo processo in Europa contro cyberbulli e ai gravi reati contestati, non trattando tutto come una bravata giovanile".

Come sarebbe oggi Carolina?

"A pensare che avrebbe 24-25 anni mi viene la pelle d’oca. Sarebbe una bellissima psicologa, perché amava interagire con gli altri. Ogni tanto nei pomeriggi mi diceva: papà, esco perché una mia amica ha problemi d’amore e voglio aiutarla. Aveva una sensibilità superiore alla media e questo l’ha distrutta: aveva capito che stava subendo un sopruso devastante".

Cosa vi dite lei e Carolina?

"La sogno spesso, mi dà la forza di andare avanti e la dà a tutti noi della Fondazione. Le persone sembrano mosse da uno spirito magico".

Il suo martirio è servito?

"Quando leggo di casi come quello recente di Bari, mi vengono dei dubbi. Mai sottovalutare i campanelli d’allarme: il dolore dei ragazzini può chiudere loro il cervello. Ma dobbiamo vincere la battaglia, perché negli occhi dei ragazzi che incontro vedo che Carolina è diventata la loro icona".