Sabato 27 Aprile 2024

Bimbo ucciso, ergastolo alla mamma e all’ex

Novara, a 20 mesi massacrato dal compagno della madre, lei non lo fermò. La pm: violenza disumana, processo emotivamente complicato

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di Viviana Ponchia

"Una vita violenza inaudita, indegna di un essere umano", aveva detto l’allora pm di Novara Silvia Baglivo. Oggi è in pensione ma non conta: "Spero che un altro processo così non mi capiti più". Troppe emozioni, di quelle brutte. Le è toccato fare luce in aula sulla morte di Leonardo, venti mesi, ucciso il 23 maggio del 2019 per un violento colpo all’addome che in meno di mezzora ne aveva provocato il decesso per emorragia del fegato. Sul corpo del bambino il medico legale riscontrò ecchimosi e lesioni un po’ ovunque: testa, torace, schiena, genitali. Il segno di vecchi maltrattamenti.

L’orrore è stato sigillato da due ergastoli per omicidio volontario pluriaggravato. Per la madre e il suo ex compagno, ritenuti ugualmente responsabili. Secondo l’accusa a uccidere materialmente il piccolo fu Nicolas Musi, che oggi ha 25 anni e per il quale sono stati chiesti anche 18 mesi di isolamento diurno. Ma Gaia Russo, 24, "ha rafforzato l’intento omicida". Era lei a inviare agli amici "le foto del figlio con il volto tumefatto". Lei, di nuovo incinta, a fornire alibi per il convivente, coprendolo finché ha potuto. Al momento della sentenza Nicolas era collegato in videoconferenza dal carcere. Gaia, agli arresti domiciliari, assente. Tre ore di requisitoria puntigliosa e straziante. "La madre avrebbe potuto evitare che l’escalation iniziata due mesi prima da Musi arrivasse al punto di non ritorno e non ha fatto nulla – ha detto il magistrato – così come non ha fatto nulla quando le botte inflitte a Leonardo lo hanno ridotto in fin di vita: non lo ha portato al pronto soccorso, non gli ha nemmeno dato un anti dolorifico. Inviava le foto cercando di farsi prestare dei soldi per cure mediche che non faceva".

La procura di Novara aveva capito subito che il bambino non era caduto dal letto nell’alloggio fornito dai servizi sociali ma era stato picchiato, anche se i due hanno sempre negato di avere alzato un dito. Gaia e Nicolas vivevano assieme da pochi mesi, i vicini raccontavano di un rapporto turbolento. Lui tirava cocaina, aveva un precedente per furto ed era noto alle forze dell’ordine per episodi di lesioni, maltrattamenti e violenza sessuale. Ai parenti di Gaia non era mai piaciuto, erano convinti che la ragazza fosse plagiata. Non lo difendevano nemmeno i genitori, per loro era come morto. "È stato un violento sin da bambino", ammetteva sua madre. Raccontava della violenza sessuale su una cuginetta di 11 anni, delle minacce di morte alla famiglia. Il fratello Alex aveva provato a salvarlo portandolo in un locale dove suonava: si era portato via le casse. Aveva tirato calci e pugni contro la porta del triage con dentro il corpo di Leo, tentato il suicidio in carcere, accusato l’ex compagna. Gaia si era difesa sostenendo che quando Musi si scatenava per l’ultima volta su suo figlio lei stava dormendo.

"Il mio assistito ha ammesso i maltrattamenti ma ha sempre dichiarato di non aver ucciso il bambino", dice l’avvocato Carlo Alberto La Neve, che ricorrerà in appello. Agli inquirenti erano sembrati dal primo momento "freddi e distaccati". Ricorda il pm Ciro Caramore che ha coordinato le indagini: "Musi mi ha detto di avere la coscienza pulita, che col senno di poi mi sembra alquanto agghiacciante". Scoprirono che il bambino era già stato portato al pronto soccorso ad aprile per il "morso di un cane". Sui telefonini trovarono il reportage terrificante che poi è diventato elemento di prova : Leo con un livido in fronte, con un occhio nero. E poi tutti e tre insieme a mangiare il gelato. "È stato un processo difficile anche emotivamente – insiste il pm Silvia Baglivo –. C’era il rischio che le dichiarazioni contrapposte dei due imputati portassero a un totale empasse". Soddisfazione professionale, ma a che prezzo.