Lunedì 29 Aprile 2024

Banda ultralarga e 5G, Italia indietro di 2 anni. Centomila permessi per fare la rete

Ricorsi e burocrazia frenano la modernizzazione del Paese. Solo l’8% dei cittadini ha una connessione davvero superveloce Open Fiber promette il completamento del 92% del piano entro il 2022, ma la crisi Covid ha rallentato l’ok degli enti locali

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Il pressing sulle nuove reti ultraveloci è già cominciato. Anzi, si è intensificato dopo gli Stati Generali voluti dal premier Giuseppe Conte per rilanciare l’economia e dopo l’uscita del garante dei 5 Stelle, Beppe Grillo, sulla necessità di realizzare una rete unica per le telecomunicazioni, mettendo Tim e Open Fiber sotto l’ombrello di Cdp.

Quanto basta, insomma, per innescare un nuovo fronte di polemiche soprattutto politiche. Ma un fatto è certo: le grandi infrastrutture del futuro, la rete a banda ultralarga e quella del 5G, fino a ora sono avanzate a passo di lumaca, in ritardo di almeno 2 anni e mezzo sulla tabella di marcia che prevedeva di chiudere i lavori entro il 2020. Invece, secondo gli ultimi dati disponibili, in appena 115 Comuni su oltre 6.300 i lavori per la posa in opera della fibra sono stati collaudati.

Mentre l’Italia continua a galleggiare agli ultimi posti nella speciale classifica dei Paesi più digitalizzati. E la rete a banda ultralarga sta diventando sempre più un’urgenza nazionale. Il Digital economy and society index (Desi), l’indice stilato dalla Commissione europea, attribuisce al nostro Paese una media dell’8% di abbonamenti a 100 Mbps, contro il 20% comunitario. Nella diffusione della banda ultralarga, l’Italia si piazza al 25esimo posto sui 28 (ormai 27) della Ue. Siamo sicuramente migliorati sulle connessioni più lente, quelle che viaggiano a 30 Mbits, con una copertura che ha raggiunto il 90%, superiore alla media europea. Ma per la rete ultraveloce, dove i dati viaggiano a 100 Mbits, il Paese è in affanno. Anche se il trend della copertura Ftth (’fiber to the home’, la fibra che arriva direttamente dalla centrale nella casa degli utenti) è in costante aumento, passando dal 24% (2018) al 30% (2019) in termini di unità immobiliari cablate. Un dato comunque ancora sotto la media europea, che si attesta al 34%.

Di chi è la colpa? Le tre gare per la banda ultralarga nelle cosiddette ’aree bianche’, quelle cioè non appetibili dal punto di vista del mercato, sono state vinte 5 anni fa da Open Fiber, con ribassi che hanno fatto risparmiare allo Stato oltre 1,2 miliardi. Ma, in realtà, anche a causa della raffica di ricorsi presentati da Telecom, i progetti sono partiti solo nel 2018. Ora, la vera sfida è recuperare il tempo perduto. Nei giorni scorsi la società ha presentato al governo un cronoprogramma aggiornato delle attività che prevede di collegare il 92% delle unità immobiliari entro il 2022. Bisognerà vedere, però, fino a che punto su questi piani peserà l’effetto Covid, che sicuramente ha rallentato l’iter delle autorizzazioni amministrative. Sì, perché dietro i ritardi accumulati ci sono molte cause, non attribuibili a Open Fiber.

Per la progettazione esecutiva, ad esempio, bisogna fare i conti coi tempi di risposta degli enti coinvolti, che impiegano dai 6 ai 12 mesi per far scattare il semaforo verde. I problemi più grossi si incontrano, però, durante la fase di avvio dei cantieri. Qui i lavori possono trasformarsi in una vera e propria corsa ad ostacoli. Durante lo scavo potrebbero venire fuori reti di servizio a profondità minime. O reperti archeologici. Oppure potrebbero esserci l’opposizione dei proprietari dei terreni dove viene poggiato il cavo.

Un dato per tutti: per realizzare l’intera rete i tecnici di Open Fiber hanno calcolato che servono non meno di 100mila permessi. Tanto che il Mise ha già avviato una serie di incontri tecnici per rendere l’intero iter più semplice. Si vedrà. Ma per ora la strada per portare la banda ultralarga all’85% della popolazione entro l’anno (con una connessione di 100 megabit al secondo) e raggiungere il restante 15% con almeno 30 Mbps, è ancora in salita.