Giovedì 25 Aprile 2024

"Alzare i tassi? Mossa obbligata Ma la Bce non ha le idee chiare"

L’economista Bini Smaghi: manca ancora una ricetta per contrastare la frammentazione dei mercati

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di Pino Di Blasio

Presidente, come giudica l’esito della riunione d’emergenza della Bce, sull’uso dello scudo per evitare ‘rischi di frammentazione’ tra i Paesi europei?

"Mi sembra – spiega Lorenzo Bini Smaghi (foto), che del board della Banca centrale europea ha fatto parte fino al 2011 – che in Bce non ci sia ancora un’idea chiara su come contrastare la frammentazione dei mercati, soprattutto in assenza di impegni precisi da parte dei governi riguardo alla finanza pubblica. Ricordiamoci che il famoso ’whatever it takes’ di Draghi comportava una forte condizionalità, in particolare l’adozione di un programma di aggiustamento concordato con il Mes".

A far cambiare idea alla presidente Lagarde è stato il superamento della soglia di 250 punti base dello spread. La stessa che fece scattare il piano antipandemia. La ritiene una soglia del dolore congrua? Un limite sopra il quale la frammentazione diventa troppo rischiosa?

"Mi sembra difficile, e anche controproducente, indicare una soglia numerica dello spread massimo. Nel giugno 2018, al momento della formazione del primo governo Conte, lo spread superò i 300 punti. Eppure la Bce, guidata ancora in quella fase da Draghi, non intervenne. Annunciare soglie limite spingerà i mercati a testare la determinazione della Bce, e a posizionarsi su quella soglia massima".

La reazione dei mercati allo scudo Bce è stata in chiaroscuro. Lo spread italiano è poco sopra i 200, le Borse stanno soffrendo. Una reazione prevedibile? E come giudica il ping pong Francoforte-Washington sul rialzo dei tassi deciso dalla Fed?

"Con l’inflazione superiore al previsto, l’aumento dei tassi era inevitabile, in tutti i Paesi. Ci troviamo probabilmente di fronte a cambiamenti strutturali dei mercati finanziari in particolare la fine del denaro facile, per cui è necessario rivedere tutte le valorizzazioni, incluse le aziende e della loro redditività".

Venendo all’Italia, anche il ministro delle Finanze austriaco ha invitato il Paese a mettere in ordine i conti. La pressione del Nord Europa può essere decisiva per le riforme e per correggere errori sul debito?

"La fine del denaro facile riguarda anche la finanza pubblica. D’ora in poi prima di decidere gli scostamenti di bilancio finanziati a debito il governo dovrà chiedersi chi è disposto a comprare i titoli di Stato e a che tasso d’interesse. Bisogna dare fiducia ai risparmiatori, rassicurandoli che il debito è sotto controllo. Altrimenti i tassi d’interesse salgono, generando ansia. L’unica soluzione è indicare un percorso credibile di riduzione del disavanzo, senza modificarlo con ripetuti scostamenti. Non dobbiamo mettere a posto la finanza pubblica e fare le riforme perché ce lo chiedono gli altri, ma perché questo è l’unico modo per riprendere il sentiero della crescita e dare fiducia alle aziende e alle famiglie".

Il governatore di Bankitalia Visco ha detto che ‘non ci sono nemici a Francoforte e Bruxelles’ e che la Bce è il capro espiatorio per tutti i mali dei Paesi membri. Ma l’Italia resta sotto esame e continua a essere il malato d’Europa. Il Pepp, il programma di acquisto di titoli pubblici e privati legato all’emergenza Covid, può essere un’aspirina? O è un cura omeopatica?

"Il Pepp è fondamentale per fare in modo che la riduzione del debito avvenga principalmente attraverso la crescita, invece che l’austerità di bilancio. Ma se non riusciamo a usare bene il Pepp, in particolare ad adottare le riforme, rimane solo la soluzione della restrizione fiscale. Sta all’Italia scegliere, inutile cercare capri espiatori o salvatori all’estero".