Aborto, la legge incompiuta. Dopo 40 anni restano le ombre

Interruzioni dimezzate ma restano i nodi obiettori e consultori

Manifestazione a favore della legge 194

Manifestazione a favore della legge 194

Roma, 22 maggio 2018 - Manifestazioni di piazza, assemblee, sit-in, battaglie pro e contro l’aborto. Poi, la svolta, il 22 maggio 1978 con l’approvazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Oggi, giorno in cui la legge compie 40 anni, in fatto di divisioni politiche, tavole rotonde e marce, la legge 194 tiene banco come un tempo. O quasi. Certo, erano tempi antichi. Ma se cambiano i protagonisti, le donne in piazza ci sono ancora. Prima in bianco e nero, oggi a colori, ma le grandi contrapposizioni ideali ed etiche non si fermano. Anzi.

«Le donne sono qui», scrivono intellettuali, politiche, sindacaliste ed esponenti del mondo delle associazioni che hanno firmato un appello alle parlamentari.

«È la nostra libertà che fa paura», scrivono, ma «insieme abbiamo salvato tante donne dalla morte e dalla vergogna della clandestinità».

Sull’altro fronte, c’è quello dei Movimenti pro-vita, attivissimi sia in piazza che fuori. Vogliono smantellare la legge 194 e, per questo, organizzano marce per la vita non senza usare, a volte, anche un linguaggio choc. L’ultimo caso, quello dei manifesti appesi sui muri di Roma: «Aborto prima causa di femminicidio». Il Movimento per la vita, presieduto da Marina Casini Bandini, ha preso le distanze dai cartelloni (i promotori sono gli aggueritissimi Citizen go), ma pur criticando un approccio «muro contro muro», viene ribadito che non si può «trasformare un delitto in un diritto» perché si parla di «uccisione di esseri umani».

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«Lo Stato può rinunciare a punire chi pratica l’aborto – spiega Casini Bandini – ma non a difendere la vita». E, quindi, tra gli obiettivi, c’è quello di riformare i consultori «per farli tornare strumenti esclusivamente destinati a evitare l’aborto a concepimento avvenuto».

Insomma, nella variegata galassia pro e contro la legge 194 e dopo il referendum del 1981 che l’ha confermata con il 68% dei voti, nel bilancio di questi ultimi 40 anni le ombre restano.

Come previsto dalla legge, ogni anno il ministero della Salute fa una relazione sulle interruzioni di gravidanza e, nonostante i dati diffusi, le polemiche non cessano.

Primo numero, incontrovertibile: il calo degli aborti. Erano 234.801 nel 1982 (valore più alto in Italia), sono stati 84.926 nel 2016 (sotto i 60mila per le sole cittadine italiane). In pratica, le interruzioni volontarie di gravidanza sono più che dimezzate e, comunque, diminuite di oltre il 3% rispetto al 2015. Numeri confortanti, ma secondo gli esperti, c’è comunque l’altro lato della medaglia. Benché gli aborti siano in calo e questo valga anche per le donne straniere, queste ultime restano più a rischio e – spiega Alessandra Graziottin, direttrice del centro di ginecologia e sessuologia medica dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano – spesso sono recidive». Colpa di una mancata cultura della contraccezione, spiegano gli esperti. Poi c’è il tema dei consultori. Troppo pochi sul territorio nazionale e con compiti non più connessi al servizio d’interruzione di gravidanza: ora si occupano di screening tumorali, assistenza pediatrica, servizi per l’età evolutiva. Altro nodo è quello dell’obiezione di coscienza. L’ha rilevato recentemente uno studio del Guttmacher Institute americano che, definendo «la legge 194 tra le migliori al mondo», evidenzia il nodo del personale che non fa aborti.

Le femministe di ‘Non una di meno’, molto attive per la difesa della 194 e oggi in varie piazze italiane, sul tema hanno anche aperto la piattaforma ‘Obiezione respinta’ per raccogliere informazioni sulla diffusione degli obiettori di coscienza nella Penisola.

IN ITALIA – secondo la Relazione del ministero – nel 2005 era il 58% dei medici che si rifiutava di praticare aborti: oggi le media è del 70,9%. Ma al Sud i ginecologi obiettori sono l’83,5% con un picco del 96,9% in Molise. Situazioni critiche nella provincia di Bolzano e in Campania per quanto riguarda, invece, le strutture atte alle interruzioni di gravidanza.

Temi, questi, molto cari all’associazione Luca Coscioni che punta «alla creazione di un albo pubblico dei medici obiettori».

I cattolici, dalla loro, portano come testimonianza la relazione del ministero che, nonostante i numeri elencati, parla comunque «di strutture adeguate» e minimizza il super lavoro dei non obiettori: 1,6 interruzioni a settimana.

Ma si tratta di una media, tant’è che Graziottin spiega come diversi ginecologi non obiettori si ritrovino nella condizione di fare quasi esclusivamente interruzioni di gravidanza, subendo, quindi, una diminutio a livello professionale. «Serve un tagliando della legge», ha chiesto la senatrice Emma Bonino, storica dirigente radicale. «Se cambiare si può, tentare si deve», ha ripetuto all’ Ansa . Oggi come allora.