Venerdì 26 Aprile 2024

Reputazione digitale

Fatti una reputazione. Era una raccomandazione della nonna. «Perché ti accompagnerà la vita intera». Nella frenesia del giudizio istantaneo, la ‘buona nomea’ ha oggi durata brevissima. La critica, da ristretto gotha di pochi eletti, è diventata prassi abituale di utenti armati di fototelefonino a documentare il granello di polvere nel lavabo dell’hotel di lusso o lo spaghetto scotto nel ristornate stellato. Tutto, dal caffè al paio di scarpe, va giudicato dall’utente con la severità di una corte d’assise senza appello. Certo, chiunque si ponga al servizio del pubblico, deve essere pronto a ricevere critiche ed elogi. Ma credo sia altrettanto corretto garantire all’imputato alla sbarra il sacrosanto diritto alla difesa. Penso che il mercato sia l’ammortizzatore in grado livellare le preferenze: stare bene in un locale mi fa venire voglia di tornarci. Il contrario accade se non mi trovo a mio agio. Senza alcun bisogno di dover sbandierare ai quattro venti le mie personalissime sensazioni. Diffondere il nostro stato d’animo è una presunzione narcisistica senza confine: neppure Mark Twain avrebbe mai pensato di interessare tutti con le proprie avventure. Figuriamoci l’avventore di una ferramenta o di una gelateria. Dalla parte opposta della barricata, corrono di pari passo ripicche dal vago sapore epurativo: «Caro cliente», vedremo presto scritto negli esercizi commerciali, «se ti permetti di screditarmi on line, ti verrà applicato un sovrapprezzo pari a…». Fermiamoci e ripartiamo dai rudimenti: per giudicare è necessario essere un giudice. Chi è processato ha diritto a difendersi. Nessuno può intimorire un testimone. Basterebbe applicare queste elementari regole del diritto per tornare con nostalgia alle raccomandazioni della nonna. «Lavora sodo, fatti un buon nome. Nessuno lo potrà mai calpestare». Neppure uno stupido granello di polvere nell’effimera reputazione digitale.