Mercoledì 24 Aprile 2024

Il nostro impegno. Una polveriera da non lasciare al suo destino

Generalmente, dall’Iraq non ci aspettiamo buone notizie: il ferimento dei nostri cinque militari, cui vanno rispetto ed ammirazione, lo dimostra. Evento inatteso, ma solo perché da qualche anno ciò che accade laggiù passa un po’ sotto traccia. Eppure, l’Iraq non è l’Afghanistan: ha un suo potenziale che – pur stentando ad emergere – alla distanza ripagherà chi non lo ha abbandonato. Bene ha fatto l’Italia a confermare la propria presenza con forze di élite di straordinaria capacità.

Queste unità sono presenti anche a Baghdad, ma sopratutto nell’area di Kirkuk, dove circa 350 specialisti addestrano gli iracheni del Counter Terrorism Service (Cts) ed i peshmerga delle forze speciali di sicurezza curde. Non siamo soli, ma partecipano altri otto Paesi europei. Caso unico di rapporto positivo con il variegato mondo dei curdi, in questo affiancamento sono presenti anche militari turchi. Al contrario - spiegano gli analisti del Centro Militare Studi Strategici (CeMiSS) - i rapporti dello Stato con la Regione curda dell’Iraq (che nel 2017 aveva votato per l’Indipendenza) rimangono assai fragili, quando non tesi, con una collaborazione piuttosto tormentata. Il nemico comune rimane l’Isis, che, seppure sconfitto militarmente, si avvantaggia dei vuoti lasciati dalla situazione politica e non trascura di manifestare in modo cruento la propria presenza.

Dopo Saddam, il modello di potere centralizzato in Iraq non ha mai funzionato, né le elezioni politiche che nel maggio dell’anno scorso hanno portato al potere il moderato Adil Abdul Mahadi hanno avuto effetto stabilizzante. Si contano ancora 68 gruppi armati, con affiliazioni dentro e fuori il Parlamento. Così l’Isis continua ad avere buon gioco proprio nel Paese dove ha subito le prime cocenti sconfitte.