Mercoledì 24 Aprile 2024

Coronavirus, lasciateci la libertà di fare due passi

Senza arrivare all'esagerazione di Boris Johnson, è il caso di chiedersi fino a che punto è giusto stringere la morsa

Controlli di polizia in piazza San Giovanni in Laterano (ImagoE)

Controlli di polizia in piazza San Giovanni in Laterano (ImagoE)

Senza arrivare all’esagerazione del premier inglese Boris Johnson che prospetta al suo popolo lacrime e sangue spiegando con nonclalance che "ognuno perderà alcuni dei propri cari", sarà forse il caso di chiedersi fino a che punto è giusto stringere la morsa nei confronti di una società - la nostra - che per la prima volta dopo 70 anni si vede così massicciamente minacciata nelle sicurezze quotidiane, e fino a che punto in nome del sacrosanto dovere di proteggere la salute, propria e degli altri, sia ammissibile comprimere libertà minime e fondamentali. Quella per esempio di muoversi di casa e andare a fare due passi per strada o al parco. Da soli o con il cane, a debita distanza dagli altri, in assoluta sicurezza ma pur sempre una passeggiata. Divieto bizzarro, specie se posto da quello stesso Stato che mi permette di entrare in una tabaccheria - lasciata aperta - e comprare un pacchetto di sigarette sul quale c’è scritto "nuoce gravemente alla salute".

Nei giorni scorsi ne abbiamo viste di tutti i colori, e da parte di governanti confusi e confusionari, forse anche sopresi loro stessi dall’enormità della cosa, c’è stato un sommarsi disordinato di disposizioni al punto che martedì scorso, dopo l’emanazione della definitiva stretta che ci ha chiusi tutti in casa, la gente ha iniziato a ficcarsi in testa che fosse probito addirittura mettere il naso fuori dal proprio portone. Il rimedio per il mal di testa non è tagliare la testa ma farla guarire, e così in questo caso la priorità è impedire al contagio di espandersi attraverso contatti impropri o rischiosi, ma anche far si che il resto del corpo non muoia, altrimenti ci salveremo dal Coronavirus ma creperemo di infarto poltronaro, e, allargando un po’ il discorso, è fare in modo che tra uno o due mesi, quando tutto sarà finito, le forze economiche e sociali siano in grado di far ripartire un Paese ancora in vita. Ma se la cura uccide il paziente vuol dire che la cura è sbagliata.