Mercoledì 24 Aprile 2024

Olimpiadi, a Van Avermaet l'oro del ciclismo. Nibali sfiora l'impresa

Il belga precede il danese Fuglsang ed il polacco Majka sul primo podio di Rio. Il siciliano cade in discesa a 10 km dall'arrivo, quando era in testa. Aru, sesto, il migliore degli azzurri

Greg Van Avermaet, a 31 anni sale sul trono di Olimpia (Getty Images)

Greg Van Avermaet, a 31 anni sale sul trono di Olimpia (Getty Images)

Rio de Janeiro (Brasile), 6 agosto 2016 - Il sogno olimpico di Vincenzo Nibali si infrange su un muretto spartitraffico, a 10 km dalla gloria. Fatale una scivolata giù dall'ultima discesa della Vista Chinesa - la dura salita di 9 km che contraddistingueva il circuito finale - che coinvolge anche il colombiano Sergio Henao, lasciando da solo all'attacco l'unico superstite del terzetto, il polacco Rafal Majka. Ma la prima medaglia d'oro di Rio 2016 va ad un belga, il 31enne Greg Van Avermaet, che insieme al danese Jakob Fuglsang piomba su Majka a 1.500 metri dalla fine, e lo fulmina senza pietà in una volata a quel punto senza storia. Oro Belgio, argento Danimarca, bronzo Polonia. Sesto il migliore degli italiani, Fabio Aru. Una corsa che non ha deluso le attese, la prova in linea del ciclismo su strada maschile, dura come ci si aspettava e perfino più appassionante di quanto fosse lecito sperare, visto il perenne attendismo che da anni, ormai, condiziona lo sport del pedale. Ma oggi no, oggi è stato uno spettacolo: tutti contro tutti fin dal pronti via, e alla fine addirittura una caccia all'uomo, con Majka nello scomodo ruolo di lepre, finito impallinato dal cacciatore di classiche che, inspiegabilmente, le grandi classiche ancora non è riuscito a vincerle. Strana davvero la storia di Van Avermaet. Cresciuto calciatore - da ragazzo è arrivato pure a debuttare nella serie A del proprio paese, da portiere del Beveren - salito in bici quasi per caso, per recuperare da un infortunio, e scopertosi campione strada facendo. Un corridore dalla classe cristallina, spesso a tanto così dalla vittoria nelle classiche monumento a lui più adatte - Sanremo, Fiandre, Roubaix - che per un motivo o per l'altro gli sono sempre sfuggite. Comunque di peso, le vittorie di Van Avermaet: tra le più importanti due tappe nelle ultime due edizioni del Tour de France - quest'anno con tanto di tre giorni in maglia gialla, difesa anche al primo assaggio di Pirenei, lui che scalatore non è mai stato -, una tappa alla Vuelta del 2008 quando vinse anche la classifica a punti, la Parigi-Tours del 2011. Nel 2016, prima del trionfo a cinque cerchi, erano giù arrivati il Gp Het Nieuwsblad che apre la stagione delle pietre, e poi una tappa e clamorosamente anche la classifica generale della Tirreno-Adriatico, complice la cancellazione, per maltempo, dell'unica tappa con arrivo in salita. Quindi l'ennesimo assalto mancato al Giro delle Fiandre, con tanto di caduta e conseguente infortunio che ne ha compromesso la partecipazione alla Parigi-Roubaix della settimana successiva. Ma il grande Tour de France appena concluso ci aveva già detto dell'eccezionale stato di forma del corridore belga. Solo, non pensavamo che questo gli potesse bastare ad aggirare le insidie di un percorso olimpico sulla carta troppo impegnativo per lui, e in effetti risultato indigesto ai connazionali Gilbert e Wellens, che alla vigilia erano considerati altrettanto quotati. Ed invece, la strada ha detto Van Avermaet. Ma ha detto anche che l'Italia del c.t. Davide Cassani ha corso come meglio non poteva, prendendo in mano le redini della corsa come se la squadra fosse composta da nove elementi e non da cinque - particolarità, questa, che contraddistingue l'Olimpiade da qualsiasi altra corsa del calendario internazionale - e piazzando la mossa che poteva essere decisiva a 35 km dall'arrivo. Qui, Nibali e Aru hanno attaccato nella seconda discesa dalla Vista Chinesa, piombando sul gruppetto di battistrada che già comprendeva un azzurro, il generosissimo Damiano Caruso, e cogliendo di sorpresa le principali nazionali rivali, vale a dire la Spagna dei senatori Valverde e Rodríguez e la Francia dei giovani Alaphilippe e Bardet, costrette a quel punto ad inseguire. Tre italiani in un gruppetto di undici uomini, nei quali l'unico grande favorito della vigilia ad essere presente era proprio Nibali. Certo, c'era già anche Van Avermaet - mossosi sulla prima delle tre scalate alla Vista Chinesa, in compagnia del britannico Thomas, dell'estone Taaramae e dello stesso Caruso - ma appunto, sembrava che l'importante fosse essere riusciti a staccare i Valverde e i Rodríguez, gli Alaphilippe e i Bardet, i Froome e i Rui Costa. Una situazione ideale, insomma. Poi, quando la strada ha ripreso a salire per l'ultima volta, Caruso s'è fatto da parte, consegnando il testimone ad Aru. E anche il sardo ha fatto il suo, tenendo alto il ritmo per impedire il rientro dei big rimasti indietro. Quindi, è entrato in scena Vincenzo Nibali, con una serie di scatti e accelerazioni che hanno scremato ulteriormente il gruppetto buono. Solo Henao e Majka sono stati capaci di resistergli, mentre poco più indietro le carte si rimescolavano e tornavano sotto Fuglsang, Alaphilippe e Rodríguez, e continuava a tener duro Van Avermaet. Chissà come sarebbe andara a finire senza quella maledetta scivolata a 10 km dall'arrivo: è probabile che almeno una medaglia sarebbe arrivata, ma Nibali non deve avere rimpianti. Con solo una quindicina di secondi da gestire nei confronti di questi e altri inseguitori, e 15 km a separare il terzetto dal traguardo di Copacabana, era inevitabile rischiare l'osso del collo in discesa, anche a costo di cadere. Quindi non parliamo di sfortuna, ma nemmeno di rimpianti: Nibali e l'Italia se la sono giocata come meglio non potevano. Chapeau a loro, e chapeau a Greg Van Avermaet, che con l'oro olimpico corona una carriera da fuoriclasse.