Ferrara, 3 gennaio 2014 - VITTORIO Sgarbi, come valuta l’idea di entrare nell’area vasta bolognese?
«Assolutamente logica».
C’è il rischio che sia l’unico a pensarla così.
«Bologna e Ferrara erano già insieme sotto lo Stato Pontificio. Ora potremmo chiedere che ci governi un emissario di Papa Francesco, andrebbe meglio di quelli che ci sono ora».
Quindi lei è favorevole all’unione?
«Per me funzionerà benissimo: Bologna è una locomotiva e Ferrara un vagone morto. E’ perfetta».
Cos’ha di tremendo Ferrara?
«E’ una periferia piuttosto desolata, un’appendice che non appartiene a nessuno: non è né Emilia, né Romagna. Nemmeno il Veneto ci vorrebbe mai: quella è gente sveglia. Ora almeno diventerà parte di qualcosa».
Suvvia: in giro ci sono luoghi peggiori.
«Sicuramente. E’ una città bellissima, ma è una natura morta. Almeno voi avete i buoni ristoranti, Modena la Ferrari, Reggio gli asili. Ma noi? Ci resta la salama da sugo».
E i ferraresi li è dimenticati?
«Li conosco bene. Ce ne sono di due tipi: gli stanziali e gli emigranti».
Partiamo dai primi.
«Sono come le sculture. Li trovi sempre lì, alle due del pomeriggio come alle cinque del mattino: in tre o quattro davanti al bar. Sono gli immobili, gli immorti».
E gli emigranti?
«I migliori: Bassani, Antonioni, Folco Quilici, Italo Balbo, Sgarbi. Appena uno esce da Ferrara, diventa un uomo. E così gli stanziali li odiano, non li vogliono celebrare».
Ma ai bolognesi Ferrara piace. In tanti ci vanno, anche solo per passarci una giornata.
«Fanno bene. Ci sono i monumenti, è una città splendida. Tra le più belle d’Italia. E’ come Pompei».
Ora non esageriamo...
«Non esagero. E’ come Pompei, ma di notte, quando si spegne la luce: non c’è nessuno, è un caso unico al mondo. Secondo lei perché De Chirico ha inventato la metafisica a Ferrara?».
Me lo dica lei.
«Perché è tutto fermo. Le piazze sono vuote, deserte. Si è ispirato e ha realizzato quei capolavori».
E le mostre? Palazzo dei Diamanti è tra i centri espositivi più importanti d’Italia.
«Lei lo sa dov’è la Pinacoteca a Ferrara?».
Faccio ammenda.
«E’ a Palazzo dei Diamanti. Lei è un ignorante, ma non è colpa sua».
Meno male.
«La colpa è dei ferraresi. Basterebbe mettere un cartello sulle scale con scritto: ‘Capra, sali’. E invece tutti vanno solo a vedere le mostre, nessuno dice loro di andare a visitare la Pinacoteca, che è splendida».
Ma lei non ci torna mai a Ferrara?
«Una quindicina di volte l’anno, per andare a trovare la mia famiglia. Anche se stanno a Ro, per fortuna».
Qualcosa da salvare dovremmo pur trovarlo in questa città.
«Gliel’ho detto: la salama da sugo. E poi il pan pepato e i cappellacci di zucca».
E’ già qualcosa.
«Tre ottimi piatti. Mettiamoli nel programma dell’assessorato alla gastronomia».
Se lei è diventato quello che è diventato, non sarà merito anche della sua città?
«Quando ero ragazzo, c’è stato un momento di grandissima vita culturale. Un’intuizione geniale, quella dell’arte contemporanea: furono organizzate le mostre di Warhol e Sironi. A Ferrara, incredibile!».
Le conferirono anche il Premio Estense.
«Sì, fui il primo ferrarese. Ma solo perché Pansa odiava Giorgio Bocca e pur di farlo perdere, premiarono me».