Lunedì 29 Aprile 2024

Pd, Bersani: "Non è più la mia Ditta". Ma la scissione parte azzoppata

I ribelli perdono pezzi, molti hanno dubbi. D’Alema: Matteo ha fallito

Pier Luigi Bersani su La7 (Ansa)

Pier Luigi Bersani su La7 (Ansa)

Roma, 22 febbraio 2017 - «SE AL prossimo giro vince la destra li vado a cercare». Furiosi con Renzi, furiosi con l’ex compagno Emiliano. C’è quasi un senso di liberazione nella gioconda ferocia con cui Bersani riassume in tivù a di Martedì il senso della giornata. Magari non può essere derubricata a semplice ‘fuoriuscita’, però la scissione senza il governatore pugliese diventa meno dirompente. Non solo perché Speranza & co. perdono qualche pezzo in Parlamento, ma soprattutto perché gli viene meno i bacino elettorale della Puglia. Un colpo da assorbire al pari della ‘morte’ del Pd.

L'IMITAZIONE / Crozza nei panni di Emiliano

«Io voglio andare a riprendere tutta la gente che ci ha mollato – continua l’ex segretario democratico –. M’interessano gli elettori che ci hanno abbandonato, non un partito che non ha interesse a discutere. Io non me la sento di iscrivermi al partito di Renzi, né di partecipare al congresso. Però rimango nel centrosinistra». E D’Alema – su Rai 3 – rilancia: «Renzi ha fallito. Un leader dovrebbe prenderne atto. È lui l’elemento divisivo. Se viene rimosso il centrosinistra tornerà a riunirsi. Io spero che la separazione non sia eterna». 

SOSTENGONO i renziani che tutto ciò avrà ripercussioni sul governo: «Non si può entrare in sessione di bilancio il 15 ottobre non sapendo chi voterà la finanziaria perché si entra in campagna elettorale e ognuno deve presidiare gli interessi dei suoi elettori. Bisogna votare a giugno». Al contrario, gli scissionisti giurano che saranno leali, «la legislatura durerà fino al 2018 a meno di ritorsioni però deve cambiare qualcosa. A cominciare dai voucher».  E così, una stagione si chiude senza scene madri: i bersaniani non partecipano alla Direzione, Matteo Renzi vola in California convinto sia molto più ‘cool’, tenersi alla larga dai luoghi in cui si litiga. «È un passaggio non semplice, ma quando hai dei dubbi fai quale che devi», spiega Bersani citando Berlinguer

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Il ‘sangue’ scorre a via Barberini, sede della regione Puglia dove Emiliano dice a Speranza: «Facciamo così. Io combatto da dentro, tu da fuori e poi ci ritroviamo dopo il congresso». Gelida la replica: «Non ci sono più le condizioni. Non condivido la tua decisione di candidarti nel Partito di Renzi. Arrivederci». Rincara il governatore della Toscana Rossi: «Alle primarie lo scontro tra l’ex premier e Emiliano sarà una giostra populista».

Per alcuni, l’addio è ‘colpa’ di un patto scellerato con Renzi. Per altri, della presenza ingombrante di D’Alema («Emiliano non ha il fisico da Che Guevara», ha detto). Per altri ancora tutto nasce dal desiderio (insoddisfatto) del governatore di essere incoronato leader. Di certo, i numeri sono meno ‘impegnativi’ del previsto: al Senato gli scissionisti sono tra i 12 e i 15. Quelli che hanno annunciato il passaggio sono Corsini, Casson, Dirindin, Fornaro, Guerra, Gatti, Gotor, Lo Moro, Migliavacca, Pegorer, Sonego, Ricchiuti, mentre Manconi, Tocci e Muchetti ancora non l’hanno fatto.   

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PIÙ FLUIDA la situazione a Montecitorio, dove siedono i big della scissione Pd (Bersani, Speranza, Epifani, Zoggia, Stumpo), mentre non saranno della partita Boccia e Ginefra. I gruppi nasceranno entro venerdì (i nomi vanno da Democrazia e lavoro a Socialismo e lavoro), ma la scissione ancora non attecchisce sui territori: «In ogni caso – taglia corto D’Alema – sulle giunte locali non ci devono essere contraccolpi». Quindi, si creerà una costituente con il movimento di Pisapia, gli ex Ds, SI, Civati con l’obiettivo di varare a marzo il nuovo soggetto il cui leader sarà scelto con le primarie.  «Non saremo né io né Bersani – chiosa D’Alema – i leader saranno Speranza e Rossi». Latente, resta il timore che Renzi – con l’aiuto di FI e M5S – intervenga sulla legge elettorale alzando la soglia di sbarramento alla Camera in modo da complicargli la vita.