Giovedì 25 Aprile 2024

Pierre Boonard, l’Arcadia di un sognatore: fuga perenne dalla modernità

Al d'Orsay di Parigi grande esposizione dedicata all'artista dandy e malinconico

Pierre Bonnard, Terrazza a Vernon

Pierre Bonnard, Terrazza a Vernon

Parigi, 26 maggio 2015 - Tranquillo borghese ma anche un po’ dandy. Bello ed elegante con la passione per le auto, però taciturno, discreto, persino un po’ malinconico. Tombeur des femmes eppure legato in modo inossidabile ad un’unica donna, Berthe, di cui sopporta il carattere ombroso e misantropo che finisce con il condannarlo alla solitudine. Amato e apprezzato dalle famiglie illustri della Parigi bene che gli chiedevano di adornare i loro scintillanti saloni, disprezzato dal suo contemporaneo Picasso e dalla stessa critica che riusciva a leggervi quasi soltanto un decoratore. A lui, Pierre Bonnard, a sua insaputa forse l’ultimo degli impressionisti, certamente pittore dell’intimità a tutti i costi, anche a quello della menzogna, il Musée d’Orsay ha dedicato una grande esposizione che ripercorre tutte le fasi della sua opera, dalla giovinezza influenzata dall’arte giapponese, il suo debutto con i Nabis, la scoperta della natura, il gusto mai sopito per quelle cose di tutti i giorni in cui si svolgeva la sua vita, infine i grandi pannelli in cui esplode l’universo di Bonnard, immerso nel sogno pastorale e utopico, in costante fuga dalla modernità.

CON OLTRE 100 dipinti e numerose fotografie tratte dall’album di famiglia, la mostra ‘‘Pierre Bonnard. Peindre l’Arcadie’’, aperta fino al 19 luglio sulla Quai d’Orsay a Parigi, propone la scoperta di un grande maestro rimasto un po’ ai margini della vita culturale e artistica della prima metà del secolo scorso, sia per il suo carattere schivo, sia per la sua reputazione di pittore borghese e decorativo. Grazie anche a prestiti eccezionali, quali il trittico Mediterranée, che molto raramente lascia l’Hermitage di Pietroburgo, o La Cheminée, proveniente da una collezione privata, così come grazie al restauro delle quattro Femmes au jardin, la spettacolare retrospettiva del Musée d’Orsay apre un confronto con uno dei fondatori dell’arte moderna e contemporanea.

ARCADIA DUNQUE, come filo rosso dell’esposizione. Quella ricerca dell’illusione, dell’armonia, di un mondo dove tutto è sereno e la felicità a portata di mano. Bonnard il sognatore, il perfezionista pronto a ritoccare le sue tele anche dopo anni dalla loro conclusione, anche quando si trovavano già nei musei, attento al punto che persino al momento della morte trova la forza di chiedere al nipote di aggiungere del giallo nell’angolo inferiore sinistro del suo ultimo quadro L’amandier en fleurs, ora esposto a Parigi. Per poi dire: «Comincio solo ora a capire. Bisognerà ricominciare tutto dall’inizio». Sempre lui, Bonnard, artista senza etichette, senza né seguaci né maestri, a parte, forse, Gauguin, che per lui sarà un esempio agli inizi della sua carriera. Ma se Gauguin cercava nell’insolito il rimedio contro la vita rumorosa e ‘inquinata’ dei tempi moderni, trovandolo in isole esotiche e lontane, Bonnard invece lo scopre nei gesti quotidiani della vita familiare: Berthe nuda che fa la toilette o che porta dei frutti appena raccolti nel parco della loro casa a Vernon, in Normandia; la famiglia Terrasse, quella della sorella, che si ritrova in giardino durante un pomeriggio di sole; l’incontro serale a tavola per la cena; lui stesso e Berthe dopo aver fatto l’amore. Eppure la sua vita, quella reale, non è mai stata né bucolica, né priva di difficoltà. Per due volte, nel 1915 e nel 1940, si è trovato di fronte a guerre, fatte di morti, violenze e miseria. Ma il giallo acceso delle mimose di Cannet, nel sud della Francia, brilla come un sole nell’Atelier au mimosà, capolavoro dipinto dalla finestra del suo studio dal 1939 al 1946, alcuni degli anni più bui che la Storia ricordi. Una melodia, quella dell’intimità, che per Bonnard resta meravigliosamente intatta in tutti i tempi. «Bonnard è senza dubbio il pittore meno impegnato della storia dell’arte e questo penso che lo abbia danneggiato», ripete Guy Cogeval, presidente del Musée d’Orsay e uno dei curatori dell’esposizione, insieme a Isabelle Cahn, in alcune delle pubblicazioni a margine della mostra. «Non aveva alcun senso della realtà ed è rimasto incosciente dei morti e dei massacri che avvenivano in quei momenti. E’ un uomo che vive completamente assorbito nel suo mondo e, come lui, la sua pittura è un po’ fuori dal tempo».

MA C’È QUALCOSA da cui Bonnard non è passato indenne: il potere del colore. I verdi, i rossi aranciati, i blu pervinca, gli ocra, i gialli dorati, i rosa e i violetti in una sinfonia che abbaglia, motore della sua arte e cemento di quell’universo interiore che ci ha raccontato. Perchè quando dipinge sogna e come le fate delle fiabe trasformano una zucca in un cocchio, così lui, insieme alla sua tavolozza, muta una realtà grigia in un mondo fantastico. «Tante piccole menzogne per una grande verità», diceva. E più volte ha espresso un desiderio: «Mi piacerebbe che la mia pittura arrivasse davanti ai giovani artisti dell’anno 2000 con le ali di una farfalla». E’ stato esaudito.