Mercoledì 24 Aprile 2024

La gloria, la scrittura e la morte secondo Marc Augé

L’antropologo di Poitiers, già passato alla storia come teorizzatore dei non luoghi, è ospite dell'ultimo giorno di Festival Filosofia

Marc Augé

Marc Augé

Sassuolo, 14 settembre 2014 - La scrittura per scongiurare la paura di invecchiare ed essere dimenticati, e per guadagnarsi un posto fra i grandi. "Mi ci metto pure io", ammette sorridendo Marc Augé nel suo bell’italiano dall’accento francese. L’antropologo di Poitiers, già passato alla storia come teorizzatore dei non luoghi, è ospite dell'ultimo giorno di Festival Filosofia, con una lectio magistralis su ‘La gloria, la scrittura e la morte’. 

Professore, perché ha scelto questo tema? "La gloria letteraria intrattiene una relazione con la morte. L'idea di essere immortali presuppone la morte. C'è un desiderio di sopravvivere alla morte che è essenziale all'idea della gloria. Adesso è difficile immaginare un’ambizione di questa portata, perché siamo in un mondo di ubiquità e istantaneità. E la nozione di celebrità prende il posto della gloria, anche se per sua natura la celebrità è una cosa effimera. Un altro punto di vista è quello di pensare a tutta la gente che crede fermamente in qualcuno. Abbiamo bisogno talvolta di credere alla gloria di un grand’uomo. Ci aiuta a pensare a un destino migliore per gli uomini. Ma ci sono anche forme più modeste, umili, di gloria..." 

Si riferisce a qualcuno in particolare? "Se un professore va in pensione, dà una festa per annunciare che lascia la professione e così facendo fa qualcosa di utile per chi verrà. Non è un’impresa gloriosa, ma una piccola gloria".  

Che ruolo ha la scrittura?

"La scrittura è essenziale nella rivendicazione della gloria. Tanto Napoleone che De Gaulle hanno scritto memoir, per continuare ad esistere anche dopo la morte. È una forma di prolungamento di sé e in questo modo si crea una relazione sociale, malgrado la morte, tra morti e viventi, tramite la letteratura".

Gloria è anche quella che un dittatore si auto elargisce e obbliga il suo popolo a tributargli. Penso a Kim-Jong un, in Corea del nord. Di che cosa stiamo parlando in quel caso?

"Difficile dirlo. La gloria non è una nozione intellettuale o scientifica, né Marx né Freud pensavano di essere gloriosi, non aspiravano a essa. Però la studiavano. In questo mondo non sai come chiamarla l'attitudine dei dittatori. O di tutti questi tiranni che inneggiano alla misericordia di Dio e che praticano il massacro. Perciò penso che la parola gloria sia pericolosa. Usata da Kim – Jong un e praticata nella follia del suicidio-omicidio collettivo".

Quali sono le nuove paure di cui siamo preda?

"Sono multiple e hanno in comune la mass-medialità. Attraverso la comunicazione tutte le paure ci raggiungono da ogni parte del mondo e moltiplicano la nostra angoscia. Guardiamo a ciò che accade in Medio Oriente, all’Isis, alla Siria. Quando c'è un uomo assassinato laggiù si instaura una linea di prossimità  con il nostro vissuto quotidiano, per il fatto che le news entrano nelle nostre vite. Ecco, la comunicazione che ci giunge così capillare, penetrante e diffusa è una forma supplementare di paura".