Giovedì 25 Aprile 2024

Borg-McEnroe la fatica di vincere. "Film sul dolore, non sul tennis"

Il regista Metz: "Quanta solitudine dietro la loro ricerca di gloria"

Una scena di Borg McEnroe

Una scena di Borg McEnroe

Roma, 4 novembre 2017 - Ci sono avvenimenti sportivi destinati a rimanere nella storia e nell’immaginario collettivo. E rivalità tra campioni che hanno entusiasmato il pubblico e creato leggende. Il 5 luglio 1980, sull’erba di Wimbledon non si è giocata soltanto la finale di quel torneo. Si è consumato uno scontro tra titani del tennis, tra lo svedese Bjorn Borg, a caccia del suo quinto titolo consecutivo, e l’americano John McEnroe, di tre anni più giovane e affamato di vittorie, deciso a spodestare il rivale dal trono di numero uno mondiale. Nel film “Borg/McEnroe” (ma il titolo orginale, svedese, è soltanto ‘Borg’), il regista danese Janus Metz Pedersen rievoca quella finale e, attraverso una serie di flashback, ricostruisce l’infanzia e l’adolescenza dei due futuri campioni, l’educazione che ha portato poi lo svedese a essere considerato un uomo di ghiaccio, e l’americano a mostrare in campo e fuori, un carattere irascibile e un comportamento spesso fuori controllo. Con il ventinovenne attore islandese Sverrir Gudnason nel ruolo di Borg e l’americano Shia LaBeouf in quello di McEnroe, il film è stato presentato ieri dal regista alla Festa del Cinema di Roma e dal 9 novembre sarà nelle sale.

Metz, un film sul tennis ma non solo.

«Il film non poteva parlare solo di tennis. Quando mi hanno presentato il copione, non mi ha interessato più di tanto l’aspetto sportivo né la celebrazione dei due campioni. Per me doveva approfondire tematiche esistenziali. Perché due esseri umani sono pronti a mettersi alla prova in questo modo? Quali sogni o illusioni inseguono? Quanto dolore e solitudine si cela dietro a questa spasmodica ricerca della vittoria? Per me il film è una sorta di indagine filosofica sulla condizione umana. E in questo modo, alla fine, si scopre come tra Bjorn e John ci siano sì differenze, ma al fondo anche sentimenti comuni, lo stesso dolore interiore, la stessa necessità di vincere per affermare la propria identità».

A differenza del pugilato, il tennis è stato sempre piuttosto ignorato dal cinema (è uscito da poco con esiti modesti anche “La battaglia dei sessi”). Un motivo di preoccupazione?

«Certamente, eravamo tutti molto preoccupati. C’è da dire, però, che oggi disponiamo si soluzione tecniche che ci hanno consentito di ricostruire in modo molto attendibile gli incontri di tennis, come ci ha dato atto Borg, intervenuto alla prima svedese del film. Gli attori si sono allenati per sei mesi, ma solo per compiere i movimenti giusti, quasi fosse una coreografia, perché poi, per le scene di gara, ognuno dei due aveva un tennista professionista come controfigura. Sapevo perfettamente cosa volevo ottenere, utilizzando anche il computer come avevo visto fare in una scena che mi è servita molto come punto di riferimento, quella in cui Tom Hanks, in ‘Forrest Gump’, gioca in modo incredibile a ping pong».

Vi siete confrontati con Borg e McEnroe?

«Da subito abbiamo cercato di contattare entrambi, ma con McEnroe non è stato possibile. Con Borg, invece, è successa una cosa straordinaria. Ci ha detto che il figlio Leo avrebbe voluto interpretare lui da ragazzino. Gli abbiamo fatto un provino e è andato benissimo, molto somigliante al padre e già ottimo tennista. Così è lui a interpretare il padre da giovanissimo. Temevamo che in questo modo Borg volesse poi esercitare un controllo sul film, condizionarci. Non è stato assolutamente così. Ci ha lasciati totalmente liberi e poi si è detto soddisfatto e orgoglioso di come avevamo raccontato la sua storia, anche se abbiamo scandagliato anche i suoi demoni interiori, l’intensità dello sforzo fisico e mentale che l’ha consumato dentro, al punto di decidere di abbandonare il tennis a soli 26 anni».

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