Mercoledì 24 Aprile 2024

Il commissario che non ti aspetti. La 'Fuga' noir attraverso la Bretagna

Crimini, inseguimenti e amori nel nuovo romanzo di Schiavon

La fuga. Delitto in Bretagna di Gianluigi Schiavon

La fuga. Delitto in Bretagna di Gianluigi Schiavon

Bologna, 30 novembre 2015 - Formano una coppia straordinaria i protagonisti del romanzo di Gianluigi Schiavon. Lui, il commissario parigino Lucien Bertot, il cui stile troppo personale e vecchia maniera non piace ai superiori. E lei? La solita ragazza perduta, o quasi, che si redime o muore alla penultima pagina, secondo il cliché? No, è la nostra Europa, che tutti crediamo di conoscere, e non finiamo mai di scoprire, anche grazie a “La fuga - Delitto in Bretagna” (Giraldi Editore – 215 pag; 13 euro), storia difficile da definire, ed è questo un pregio raro. Il romanzo di Schiavon non è un noir, non è un thriller, non è una storia d’amore, un pizzico di tutto. Un cocktail di cui, pagina dopo pagina, si viene tentati di abusare.

"Uccidere, questo mondo non pensa ad altro, si ritrovò a riflettere uno sfinito commissario Bertot. Tutto è delitto, morte, assassinio, sopruso: ecco la materia della mia esistenza... non ho mai fermato in tempo un assassino, nel migliore dei casi sono solo riuscito ad acciuffarlo, dopo". La sua caccia, si apre a Strasburgo sulle sponde del Reno, si sposta a Berlino, quella di moda, ma di cui Schiavon coglie l’anima nascosta, prosegue attraverso la Francia, si conclude nella Bretagna delle grandi maree, dove “il mare e la terra ridono”, come con la prima riga si descrive una terra straordinaria.

Si è presi I dalla suspense, e si viene affascinati dai paesaggi. Si sente che l’autore in ogni luogo è stato, ma questo non basta. Non è un turista, ma un viaggiatore, e conosce l’arte di viaggiare che, secondo me, e credo secondo lui, è quella di saper perdere tempo ovunque per caso o per amore ci si venga a trovare. In compagnia del rude Bertot, di Michelle e Julien, gli amanti giovani e imbranati in fuga, o di Jean- Claude, ex pugile che ricorda antichi trionfi e sconfitte, e di Marie, la donna “che accarezza le sequoie”. La trama, ovvio, per quello che in fondo è un “giallo”, o un “krimi” come dicono i tedeschi, non va raccontata. Diciamo che il plot si nasconde nella vetrata della cattedrale di Quimper. E questo basta. Non è una storia all’italiana, con l’eterno commissario sconfitto dagli anni, non importa dove lavori, a Milano, a Roma, o a Firenze, alle prese con un’umanità che si vorrebbe autentica, ed invece – tranne eccezioni – ormai è di maniera.

Schiavon spazia oltre confine, con originalità pur rimanendo autentico. Il che, per uno scrittore è sempre una grande sfida. I paragoni non piacciono, giustamente a chi scrive. Ma servono per orientare il lettore. 'La fuga' ricorda il corso José Giovanni, le cui storie finivano immancabilmente al cinema. E per Bertot l’interprete ideale sarebbe Lino Ventura, purtroppo scomparso. In più, di suo, Schiavon, aggiunge una personalissima ironia. Un tocco appena, che si coglie se non si viene tentati di leggere in fretta presi dalla voglia di sapere come andrà a finire. Un’ironia un poco veneta, come tradisce il suo nome, addolcita dallo spirito di un’Emilia dove è cresciuto e lavora. Speriamo che il suo Bertot non si fermi in Bretagna, e voglia riprendere un altro inseguimento, prima o poi, a caccia di assassini che acciufferà troppo tardi. O forse no.