Giovedì 25 Aprile 2024

L’India, l’Impero e la giungla: torna Kipling, scrittore per adulti

A 150 dalla nascita, una fama troppo legata ai libri dell’infanzia

Il nuvo "Libro della jungla" firmato Disney

Il nuvo "Libro della jungla" firmato Disney

Roma, 28 dicembre 2015 - La sua poesia “If”, apologo morale dedicato al figlio, campeggiava nello studio di Montanelli. E il grande Indro non era certo l’unico a venerare Kipling, come fecero con Hemingway i giornalisti della generazione successiva. Kipling incarnava l’idea dello scrittore dalla vita avventurosa mitizzato da tutti i reporter con un romanzo nel cassetto, e rimane tuttora il più giovane Nobel della letteratura. Lo ebbe nel 1907, a soli 41 anni: meglio di lui c’è solo Paul Newman in “Intrigo a Stoccolma”, negli improbabili panni d’un atletico e giovanissimo scrittore americano coinvolto in una storia di spie mentre si trova nella capitale svedese per ricevere il premio. Ma chi è abituato a pensare all’autore di “Kim” e dei due “Libri della giungla” come a uno scrittore per ragazzi, o chi vede in lui solo lo stentoreo e ammuffito cantore del pregresso Impero britannico, resterà sorpreso nell’apprendere che perfino l’agente 007 di Ian Fleming si chiama così in omaggio a un racconto kiplinghiano, intitolato appunto 007, di cui è protagonista una locomotiva.    Molti stereotipi sono in effetti da scrostare dalla figura di Joseph Rudyard Kipling a 150 anni dalla nascita, avvenuta a Bombay il 30 dicembre del 1865. La Disney celebrerà a modo suo con una nuova versione del “Jungle Book” dagli stratosferici effetti speciali, che uscirà ad aprile 2016 con la regia di Jon Favreau (“Iron Man”). A dar voce agli animali, un cast d’attori eccellenti: Scarlett Johansson è l’infido serpente Kaa, Bill Murray il bonario orso Baloo, Ben Kingsley la pantera nera Bagheera protettrice di Mowgli. Già s’immagina il successo al botteghino. Che però rischia di perpetrare la maledizione condivisa dall’autore con Stevenson, Carroll e chissà quanti altri. L’ha espressa con implacabile lucidità Jorge Luis Borges: «Occasionalmente, Kipling scrisse per i bambini, e chi scrive per i bambini corre il rischio che questa circostanza contamini la sua immagine». Più che libri “per l’infanzia”, però, quelli di Kipling sono libri  “dell’infanzia”. La sua non fu felice.    Era figlio d’ un insegnante d’architettura e d’una parente del pittore preraffaellita Burne-Jones, e i suoi primi anni di vita nell’India esotica furono un Eden dal quale venne strappato assieme alla sorella quando i genitori li spedirono presso parenti in Inghilterra per proteggerli dall’insalubre clima indiano. Furono cinque anni d’incubo: un’infanzia dickensiana in balia di persone anaffettive, tra privazioni e punizioni che lasciarono in Kipling una traccia indelebile, testimoniata da uno dei suoi racconti memorabili: “Bee bee, pecora nera”.   Da allora il suo rapporto con il potere simboleggiato dall’Inghilterra fu schizofrenico come quello di Kim, discepolo d’un ascetico lama e spia degli inglesi, coinvolto in quel Grande Gioco di cui lo stesso Kipling, agente segreto e massone, per un po’ fece parte. Fino al progressivo appiattimento su valori autoritari, da vittima passata al servizio degli antichi persecutori. Questo rimane l’ostacolo più grosso per comprenderela sua statura di scrittore. Eppure già il grande critico Edmund Wilson osservava che senza Kipling e la sua strepitosa sensibilità per gerghi e dialetti non avremmo neppure l’“Ulisse” di Joyce. Le sue short-stories del periodo giovanile e d’ambiente indiano sono fantastiche, sembrano pensate in indostano e poi tradotte in inglese; i suoi racconti d’animali (ho appena riletto la straordinaria storia del cane Garm) rivaleggiano con quelli di Jack London. Per sua e nostra fortuna, il cantore dell’Impero britannico non soffocò mai del tutto l’indiano che era in lui.