Giovedì 25 Aprile 2024

Infermiera di Piombino, "solo deboli indizi". I giudici demoliscono l’accusa

Firenze, il Riesame: "Nessuna prova per i 13 decessi in ospedale"

Fausta Bonino al rientro dopo la scarcerazione

Fausta Bonino al rientro dopo la scarcerazione

Piombino (Livorno), 21 maggio 2016 - Rinchiusa per 21 giorni in carcere, indicata come la serial killer dell’ospedale di Piombino, l’infermiera Fausta Bonino è stata detenuta sulla base di «elementi indiziari non connotati da gravità, precisione e concordanza». Arrivano a distanza di 30 giorni dalla sua scarcerazione, le motivazioni della decisione con cui il tribunale del Riesame di Firenze ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Livorno. Quindici pagine che ricostruiscono le tappe e i punti deboli dell’indagine sul «giallo dell’eparina», coordinata dal pm Massimo Mannucci e avviata dai carabinieri del Nas sulla base di una “soffiata”. Una non meglio precisata «fonte confidenziale» che l’8 maggio 2015 invita i militari del Nucleo antisofisticazioni ad investigare su «tre anni di inspiegabili decessi di pazienti ricoverati nel reparto di cardiologia e rianimazione, a causa di improvvisi eventi emorragici, verosimimilmente riconducibili alla somministrazione di anticoagulanti non prescritti a fini terapeutici».

Da lì in poi il cerchio si stringe attorno a Fausta Bonino, l’unica operatrice del reparto sempre presente nei turni sospetti e con una personalità che gli inquirenti ritengono «compatibile» con il profilo del serial killer delineato nell’elaborato tecnico dei Nas. In particolare i suoi problemi di epilessia, i farmaci con cui si cura per questo disturbo e «un particolare atteggiamento della Bonino nei riguardi della morte», a cominciare dalle confidenze (risalenti a due anni prima) riferite da una collega, di lei che si lamentava del fatto che gli altri reparti usassero mandare i pazienti a morire in rianimazione. I giudici del Riesame disinnescano gli indizi uno per uno. Partendo dalle intercettazioni, che «testimoniano solo un senso di impotenza, la sensazione di accerchiamento, la rabbia per essere stata sacrificata dalle colleghe e comunque non sono in alcun modo rilevanti posto che la Bonino era consapevole di essere intercettata».

Poi il Riesame riannoda il nastro della scia di decessi sospetti. Come quello della paziente Marcella Ferri - morta il 9 agosto 2015 - il cui figlio sorprende la Bonino a iniettare alla donna un farmaco non prescritto, e poco dopo lei muore. «Dalle deposizioni di altri operatori - scrivono i giudici - è emerso che dopo che il figlio era uscito, la signora Ferri si era svegliata, era vigile ed era stata addirittura lavata e cambiata». E l’esame della cartella clinica ha evidenziato come «il repentino peggioramento» fosse «spiegabile con le patologie di cui la Ferri era affetta, potendo essere subentrato un infarto acuto del miocardio che causa brachicardia», come aveva la paziente prima di morire. «La cremazione della donna - scrive il Riesame - impediva ogni accertamento medico–legale». Gli indizi non sono sufficienti, secondo il Riesame, neppure per gli altri decessi. Per Bruno Carletti, morto il 29 settembre 2015, per Angelo Ceccanti, morto il 2 luglio 2015, per Franca Morganti, morta il 9 gennaio 2015, per Mario Coppola, morto l’11 marzo del 2015 (e arrivato in ospedale con problemi di coagulazione provocati da iperdosaggio da Coumadin) «non si ritiene accertato il momento della somministrazione di eparina». «Un’incertezza non colmabile se non con una consulenza ematologica».

I riscontri ematochimici necessari ad attribuire le morti ad iniezioni massicce di eparina somministrata allo scopo di uccidere sono carenti - secondo il Riesame - anche nei decessi di Marco Fantozzi (19 gennaio 2014), Terside Milani (27 giugno), Adriana Salti (22 settembre), Enzo Peccianti (2 ottobre), Elmo Sonetti, (24 novembre) Marisa Bernardini (morta due giorni dopo), Lilia Mischi (20 dicembre) e Alfio Fiaschi (26 dicembre 2014). Per nessuno di questi casi si sa con certezza quando sarebbe stata somministrata l’eparina, il farmaco che provoca una «scoagulazione» in grado di uccidere chi ha ferite o problemi infiammatori gravi. In alcuni casi sicuramente Fausta Bonino non era presente. E «la complessità delle questioni scientifiche richiede l’espletamento di una perizia tecnica, che tra l’altro risulta essere già disposta». Insomma, la soluzione del giallo è tutta da scrivere.