Venerdì 26 Aprile 2024

Fra l'urlare e il fare...

QUANDO eravamo diversamente giovani, le nostre dolcissime nonne usavano un’espressione di affettuoso rimprovero: "Hai voluto la bicicletta? Ovvìa, ora pedala". Della serie: desiderare qualcosa non significa, automaticamente, non durare fatica. L’antica locuzione ci è sovvenuta a proposito dei guai della luminosa Livorno (luminosa per la gente che ci vive e per il vento che vi spira, non certo per la politica). Il sindaco Filippo Nogarin, che tante speranze aveva suscitato, è – eufemismo – in gravi ambasce. Non vogliamo entrare in dinamiche labroniche, ci mancherebbe, ma certamente la spazzatura che affoga la città la dice lunga su quei bravi ragazzi che si fregiano, orgogliosi, dell’appellativo di grillini. Già, del resto, lo si era visto col primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti, in grosse difficoltà per la questione dell’inceneritore, o per i parlamentari: duri puri francescani, salvo accorgersi che far politica costa.

AL NETTO delle responsabilità (in sintesi: il Pd e il suo segretario, tal Bacci, noto per aver fatto crollare il partitone a 700 iscritti, siano i primi a non proferir parola), Nogarin è la rappresentazione plastica di come dalla protesta si debba poi passare alla proposta. Si possono avere idee bizzarre e divertenti come cambiare il nome di via Grande, strada centrale della città, in "via Che Guevara". Si può partecipare a manifestazioni contro la Livorno-Civitavecchia, senza rendersi conto che, chissà, magari qualche posto di lavoro in più non avrebbe fatto poi così male. Si possono inseguire le scie chimiche. Si può urlare e buttare fogli in aria nell’Aula di Montecitorio. Si può magari pensare che lo sbarco sulla Luna mai sia avvenuto, però poi bisogna dare risposte. Oppure gestire emergenze. Con senso pratico. E capendo che, se il mitico Rino Formica esagerava definendola "sangue e merda", la politica è strumento difficile da usare. E che non è un fine per urlare il proprio, inconcludente, populismo forcaiolo.