Mercoledì 24 Aprile 2024

Errori americani

CHE FREGATURA questa globalizzazione. E non solo in economia, come qualcuno ha capito dopo l’ammissione della Cina nella World Trade Organization. Un suicidio. Se oggi oltre a essere più poveri siamo anche più insicuri, se ci ritroviamo esposti al fanatismo di chi nel nome di Allah ci dichiara la guerra santa e ci vuole imporre la sharia, se quando prendiamo un aereo o un treno, andiamo al ristorante, al cinema, allo stadio, in una spiaggia non sappiamo se ne usciremo vivi, se i nostri governanti balbettano e parlano di ‘lupi solitari’, se il Papa argentino e altre anime belle nelle loro deplorazioni additano la miseria e l’emarginazione sociale come cause scatenanti di una violenza, sempre rigorosamente anonima, con chi possiamo prendercela? Ovviamente con chi ci ha messo in questa situazione. Con chi, pur avendo responsabilità globali, non ha compreso la portata globale della minaccia.  

CON LA mediocrità, per non dire peggio, degli ultimi tre presidenti americani, da Bill Clinton a Barack Obama. Clinton sul finire della presidenza negò alla Cia in più occasioni l’autorizzazione a eliminare Osama Bin Laden. Dieci mesi dopo ci furono gli attentati di New York e Washington. George W. Bush nel 2003 invase l’Iraq. Un disastro. Quattro anni dopo ci aveva messo una pezza. Il suo generale Petraeus era riuscito a sconfiggere Al Qaeda e pacificare le fazioni sunnite e sciite. Infine Obama: i suoi errori non si contano. Eccone alcuni: ha ritirato le truppe dall’Iraq, ha favorito la deposizione di dittatori amici in nome di un’illusoria primavera araba, ha fatto una guerra stupida in Libia e si è disimpegnato dalla Siria e dall’intero Medio Oriente. Risultato: nel vuoto di potere Al Baghdadi, liberato da una prigione americana, ha eretto il califfato dei tagliagole. Ha trasformato le fughe dei disperati in un’invasione demografica che ha sconvolto l’Europa. Ha creato e coordinato la rete degli infiltrati. Non tutti infiltrati. Molti in casa li avevamo già. Giovani musulmani di seconda o terza generazione. Come quelli di Dacca. O di Bruxelles. O di Parigi. O di Londra, eccetera. Nati fra di noi. Stessa nostra lingua. Stesse scuole. Stessa way of life. Stessi privilegi. Perchè? Per la globalizzazione del terrore.

GLOBALE è la predicazione dell’odio islamico. Prima nelle moschee. Poi in contemporanea su Internet. Social networks, blogosfere, applications. Le comunicazioni sono cifrate. E per quanto pervasiva la sorveglianza elettronica, che taglia crescentemente le nostre libertà, la prevenzione appare difficile. Non c’è città in occidente che non sia potenzialmente bersaglio di una guerra infinita. A Washington l’altro giorno il direttore della Cia, John Brennan, ha definito «inevitabile» un attacco. Il che rientra appunto nella globalizzazione: chiunque può essere colpito da chiunque si trovi in qualsiasi altro posto nel mondo. Basterà un clic sul computer o sul cellulare. I miliziani di questa guerra di civiltà entreranno in azione. E noi continueremo a piangere.