Giovedì 25 Aprile 2024

Ritorno all'antico

Bologna, 9 dicembre 2016 - Sarà meglio abituarsi o, per i meno giovani, riabituarsi. Riabituarsi alle liturgie della Prima repubblica, alle consultazioni, all’infinita sequenza di delegazioni dei partiti immortalate in funeree immagini davanti agli arazzi nel solito salone del Quirinale. I corazzieri sull’attenti, il Palazzo nel suo massimo splendore e nel suo sommo distacco. E poi i retroscena, le indiscrezioni, le cene “segrete”. Le conventicole e i giochi oscuri di potere. Quando i governi erano volutamente deboli, il potere in capo ai partiti, i partiti divisi in correnti, il parlamento il luogo degli scambi e quando si andava a votare con il sistema proporzionale, non accadeva mai di poter scegliere un candidato premier preciso, un preciso programma di governo né una maggioranza parlamentare definita. Si votava il partito, il resto era deciso dopo le elezioni dal gioco politico, dai leader, dai capicorrente, dagli equilibri tra le fazioni. Sarà meglio ri-abituarsi perché il ritorno al proporzionale è nell’aria, annunciato come fosco presagio dal clima, dalle dinamiche e dalle incertezze di questi giorni di crisi di governo e, in fondo, della politica.

Era chiaro sin dall’inizio che, travolto Renzi, la vittoria dei No al referendum costituzionale avrebbe riportato in auge l’unico sistema elettorale in grado di garantire gli interessi di tutte le botteghe politiche senza però favorirne alcuna. Un caso, l’ennesimo, di eterogenesi dei fini, il principio filosofico secondo cui le azioni umane finiscono spesso per realizzare obiettivi opposti a quelli prefissati. La retorica voleva infatti che la riforma del Senato avrebbe tolto potere al popolo e avrebbe premiato la Casta delle regioni lì rappresentata. Impallinata la riforma, si scopre invece che il popolo è destinato a perdere il potere di indicare direttamente il capo del governo e ha visto sfumare la possibilità di adire a referendum propositivi. Mentre le regioni manterranno inalterati quei poteri statuali ottusamente devolutigli dal centrosinistra con la riforma del Titolo quinto della Costituzione. Siamo dunque all’alba, come direbbe Marco Pannella, di un nuovo trionfo partitocratico: i governi saranno il frutto di maggioranze larghe decise col bilancino dopo il voto ed è chiaro che così prevarranno i leader più inclini alla mediazione e al compromesso. Prevarranno i democristiani, i democristiani veri, i democristiani dentro. E per i decisionisti vocati all’avventura come Matteo Renzi e i grillini gli spazi di manovra si ridurranno di conseguenza. O cambiano natura, o rinunciano al sogno di varcare un giorno il portone di Palazzo Chigi.