Mercoledì 24 Aprile 2024

Scarpe di successo riciclando maglie. "Tre anni fa lavoravamo in un garage"

Matteo Marziali di Corridonia: "Adesso puntiamo sull’export"

Scarpe esposte in un negozio

Scarpe esposte in un negozio

Corridonia (Macerata), 19 dicembre 2014 - Il marchio l’ha chiamato Playhat, in italiano ‘gioca col cappello’, ma si potrebbe dire anche ‘giù il cappello’ di fronte alla crescita di vendite e soprattutto all’ingegnosità del designer Matteo Marziali. Storia curiosa quella del 36enne di Corridonia che, dopo tanto girovagare per l’Europa e partendo appunto dai cappelli, ha aperto nella sua città il primo Factory Store ed Outlet per le sue calzature. Uno spazio teatrale già dalla tenda da palco all’ingresso, un ambiente che mescola opere d’arte ai modelli sneakers uomo/donna. Delle tabelle descrivono quella che è forse la trovata più geniale di Marziali, la possibilità per i clienti di farsi scarpe personalizzate sia attraverso la combinazione di linee, sia portandogli tessuti e persino tovaglie.

Marziali, come è nata questa idea?

«Dato che spesso il cliente non trova il prodotto che cerca – spiega l’imprenditore – metto a disposizione 50 materiali diversi da combinare. In più facciamo scarpe tramite riciclo di tessuti come maglie o pantaloni cui il cliente è affezionato ma che magari non entrano più. Basta un terzo di una maglia».

La Playhat è una ditta giovane di soli tre anni e atipica già dalla nascita.

«Venivo da Ibiza dove vendevo 70mila cappelli stampati ma, una volta in Italia, non disponevo di una rete di distribuzione e ho chiamato un mio amico che era rappresentante di scarpe. Cappelli non si vendevano ma ho conosciuto questo settore e ho deciso di buttarmi anche se mai avevo fatto scarpe. Siamo partiti dal garage e, pian piano, ci siamo ampliati. Ho subito puntato sulla qualità perché premia sempre (suola in cuoio, fodera in pelle e sistemi per aiutare la schiena) e sul Made in Italy 100%».

Come lavorate e come siete riusciti ad emergere tra tanti colossi nelle vicinanze?

«Siamo in sei, non produciamo ma acquistiamo materiali, poi abbiamo varie ditte che li lavorano. Così non abbiamo spese fisse e al contempo diamo lavoro. Al pari dei colossi puntiamo sull’estero e nelle ultime due stagioni abbiamo fatto +30%».

L’Italia aiuta gli imprenditori?

«Le banche no. Ricordo bene le difficoltà per poter iniziare. In più all’estero al momento di accordi il cliente dà subito un 30% del pagamento mentre qui spesso passano mesi per incassare. La scelta del punto vendita proprio è anche per non rischiare su possibili chiusure di negozi».

Cosa c’è nel futuro della Playhat?

«A breve apriremo 2 punti vendita nel centro Italia e lanceremo 4 nuovi marchi compresa una linea ecologica».

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