Mercoledì 24 Aprile 2024

"È un’abitudine, la scuola non spiega". L’esperta: agire già alle elementari

La psicologa Manca: capire che mostrarsi non è un gioco

Maura Manca (da qn)

Maura Manca (da qn)

Roma, 8 novembre 2017 - «Dobbiamo iniziare dalle primarie, elementari e medie. La scuola si concentra nella lotta al cyberbullismo, giustamente, ma ha il dovere di spiegare alle ragazzine e ai ragazzini i rischi del sexting, la diffusione di immagini erotiche».  Maura Manca presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza (www.adolescienza.it) mette in guardia educatori e genitori.

Dottoressa, cosa c’è di allarmante in questi giochi?

«Non è più un fenomeno episodico, siamo passati da tendenza a consuetudine, condividere immagini intime tra gruppi di amiche e fidanzati».

Che cosa passa in Rete?

«Oggi si scambia tutta la propria vita. Fino ad arrivare a contenuti sessualmente espliciti».

E il vostro report cosa indica?

«Un abbassamento dell’età, parliamo di sexting ossia di invio di immagini o video dai contenuti sessuali espliciti già a partire dagli 11 anni. Comportamenti messi in atto anche senza avere la reale consapevolezza di ciò che si sta facendo e delle conseguenze».

Che cosa innescano?

«Nel momento in cui una adolescente invia la propria immagine intima o nuda, e oggi arrivano a mostrare atti masturbatori, devono sapere che possono perdere il controllo di quei contenuti».

Esibizionismo, ironia?

«C’è di fondo un clima di fiducia, mandi le immagini alle amiche. Pensano che il gruppo sia chiuso, che offre tutela e protezione, che quei legami affettivi siano stabili, indissolubili».

Invece?

«Succede in questa età che, anche in buona fede, si violano i segreti, certe immagini intime vengono fatte vedere a terzi e cambiano il significato».

Cosa possono fare gli adulti?

«Devono stimolare i figli, ragazze e ragazzi, a ragionare sulle conseguenze attraverso l’esempio, mostrando fatti reali, l’unico linguaggio che un giovanissimo può capire. Anche un fatto di cronaca, spiegato nel modo appropriato, può essere educativo, aiuta a cogliere la gravità delle situazioni».

E la scuola?

«Il problema è che la scuola deve fare una efficace prevenzione, purtroppo a volte tende a mettere cerotti, a intervenire davanti al fatto compiuto, nel caso dello scambio di immagini sessuali, spesso si arriva troppo tardi».

Cosa consiglia di fare?

«Di iniziare a fare prevenzione già dalle scuole primarie. Si tratta di far capire ad alunni dagli 11 e 12 anni in poi di stare attenti a non mettersi in mostra. Occorre dire che tutto quello che viene inviato rimane in circuito, non si cancella. E una volta che l’immagine è uscita dal telefono può prendere strade impensabili, si parla di video virali, cose di cui non hanno consapevolezza».

La scuola non fa abbastanza?

«Lavora molto per prevenire atti di cyberbullismo, ma tralascia altri aspetti legati alla rete».

Cosa raccomanda agli educatori?

«L’Osservatorio consiglia di perfezionare la modalità di dialogo in aula: non solo lezioni frontali, dire che lo scambio di immagini è pericoloso non basta più, devi parlare la loro stessa lingua».