Giovedì 25 Aprile 2024

Il movimento Zelig

Roma, 23 giugno 2017 - Il vero nome è Zelig. Movimento Zelig. Camaleonte. Un movimento a la carte , nei riferimenti culturali e nella componente umana, degli eletti e degli elettori. Un patchwork politico, effetto possibile di un contenitore di proteste multitasking cui l’ideologia semplicemente non serve. D’altra parte il Pantheon grillino tracciato lunedì sera da Luigi Di Maio a Porta a porta la dice lunga. «Berlinguer, De Gasperi, Almirante». Se ci avesse inserito anche Tardelli, Rino Gaetano o il colonnello Bernacca, e nessuno avrebbe avuto a che ridire. Ed è proprio questo astuto post-ideologismo de ’noantri che sta alla base di quel 30 per cento accreditato dai più. Grillo a Casaleggio, occorre riconoscerlo, sono stati abilissimi a mimetizzarsi come camaleonti nelle diverse realtà con il sentire politico circostante, e a dar vita a un franchising valoriale molto modulare.

CITTÀ che vai, grillini che trovi. A Torino pescano tra i No-tav, a Roma fanno l’accordo con i sindacati delle municipalizzate che da sempre guardano a destra, a Livorno raccolgono il mondo e gli interessi che si oppongono al «partitone», a Parma almeno sfidarono il milieu delle grande industria. A livello nazionale propongono un fritto misto, francescani ad Assisi e contro il Papa sui migranti, per l’acqua pubblica e contro i vaccini pubblici, con una narrazione che furbescamente contrappone merito e competenza. «Forse incapaci ma onesti». Un bel chiappo. La vera domanda è se tutta questa contaminazione può funzionare oltre la raccolta del consenso. In teoria essere a-ideologici non cozza con il buon governo. In teoria. Perché a quel punto intervengono il personale che esprimi e le idee. Perché una classe dirigente può anche non avere un’ideologia ma non può fare a meno delle idee, può non avere personalità riconosciute ma necessità di persone capaci. E qui viene il difficile. Specie se a selezionarle sono i click.