Giovedì 25 Aprile 2024

La sindrome del no

Immaginate un gruppo di persone a cui si dice: per salvare il posto di lavoro dovete sacrificare l’8% dello stipendio. E uno su dodici deve andare in cassa integrazione per due anni; poi per altri due avrà l’indennità di disoccupazione. Altrimenti è il baratro. Siete d’accordo? La risposta attesa è un fragoroso Sì. E invece piomba il fragoroso No dei dipendenti Alitalia. Con quale speranza, dopo tanto tribolare? Nessuna. Anche perché se i sindacati che avevano firmato quell’accordo e che rappresentano tre quarti dei dipendenti vengono così delegittimati, qualsiasi interlocutore non saprebbe più con chi dialogare.

L’aspettativa di salvezza è la solita: paga Pantalone. Ossia il contribuente italiano. Perché quei No al referendum istituzionale di dicembre volevano far cadere il governo Renzi che prometteva senza mantenere. Si può capire. Il danno collaterale è stato bocciare una riforma che sveltiva il sistema e una legge elettorale che dava stabilità. Se vi par poco! Ma questi No all’accordo del salvataggio dell’Alitalia pensano di non pagare di persona. Altrimenti dovremmo pensare che sono stati colti da sindrome di suicidio collettivo. Pensano che dopo tanto tribolare dell’Alitalia che ha sofferto, fra l’altro, di un management che più inetto di così si muore, sia giunto il momento in cui lo Stato interviene e risolve. Come? Statizzando, come si faceva un tempo. Come fa, si pensa, un grande Paese a non avere una compagnia di bandiera? Come fa a liquidare l’Alitalia? Ma quello che si aspettano è un salvataggio a sanatoria, a debito (dello Stato). Un antico vezzo che oggi non è più praticabile. Qualsiasi intervento pubblico, anche sotto mentite spoglie, implica un piano plausibile di ritorno all’equilibrio economico. E questo non è possibile senza sacrifici su stipendi e occupazione. E siamo daccapo.

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