Giovedì 25 Aprile 2024

Veni, vidi, vici: Mou il romano re d’Inghilterra

Al Chelsea come al Manchester United ha vinto subito: così vuol fare nella capitale, dimenticando l’unico "zero tituli" del Tottenham

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Federica

Lodi

enso di essere lo Special One". E’ l’anno 2004, il quarantunenne Josè Mourinho sbarca in Inghilterra e si presenta così: con una Champions League, appena conquistata con il Porto, in valigia e queste parole pronunciate nella prima conferenza stampa da nuovo allenatore del Chelsea. Non proprio un ingresso sottotraccia. E non solo nelle dichiarazioni. Perché la squadra, nella prima stagione con il portoghese in panchina, stravince la Premier. Un trofeo special come lui soprattutto per un paio di aspetti: perché il Chelsea non vince un campionato inglese da cinquant’anni e perché Mou spezza il duopolio Wenger-Ferguson che proseguiva ininterrotto da dieci stagioni. Con la rinata società del fresco proprietario Abramovic, scoppia l’amore folle. Anche perché, Mourinho, vince la Premier pure l’anno dopo. Bottino arricchito da un Community Shield, una Fa Cup e un paio di League Cup. Nel frattempo, si è fatto il 20 settembre 2007: data del primo saluto, consensuale dopo un avvio di stagione così così, con i londinesi. Mourinho trascorre gli anni successivi tra Inter e Real, non facendo mai mancare messaggi d’amore verso l’Inghilterra e quel Chelsea che gli è rimasto nel cuore. Tanto da tornarci a giugno 2013. Bisognerà aspettare il maggio di due anni dopo per alzare di nuovo la Premier: la terza per lui alla guida dei Blues. Il 17 dicembre 2015 il Chelsea se la passa male e arriva un’altra risoluzione di contratto: l’incantesimo si spezza per la seconda volta. Quella definitiva. Vero che, soprattutto con lui in giro, mai dire mai ma un paio di episodi sembrano certificare l’irreversibile fine dell’amore. Mourinho, nel frattempo, si accomoda sulla panchina del Manchester United. E affronta, in successione, due allenatori italiani che hanno occupato la panchina del Chelsea dopo di lui. Conte e Sarri. E lì accadono i ‘fattacci’, tutti nel mese di ottobre. Prima in una domenica del 2016. Lo United a Stamford Bridge perde 4-0. E i suoi ex tifosi si esaltano caricati da Conte anche sull’ultimo gol, a risultato ampiamente acquisito. Mourinho non la prende bene e se ne va dopo aver fatto presente all’avversario che così, sul quarto gol, proprio non si fa. Nel 2018, invece, si sfiora la rissa con Sarri e i suoi collaboratori. Sempre storie di esultanze non proprio composte. Ma lì c’è un gesto: quello delle tre dita alzate che ricorrono nella sua vita calcisticistica. L’allenatore prima di ritirarsi in spogliatoio le mostra ai tifosi del Chelsea, giusto per ricordare loro che quelle tre Premier le hanno vinte grazie a lui. Tre sono anche i trofei che mette in bacheca nel primo anno di United: a pensarci bene fa sorridere perché al tempo se ne parlava quasi come di un’avventura negativa. Anche se non al Chelsea, però, Mourinho a Londra in panchina ci torna. Lo fa al Tottenham, nel 2019, dopo l’esonero di Pochettino. Lui dal suo incarico allo United era stato sollevato undici mesi prima. L’esperienza si chiude il 19 aprile 2021. E se avete sentito lo Special One elencare i suoi trofei citandone un mezzo, ecco spiegato l’arcano. Sei giorni dopo, gli Spurs giocano e perdono la finale di Coppa di Lega contro il Manchester City. Ma lui, terzo allenatore della storia a raggiungere questa finale con tre squadre diverse, metà trofeo lo sente suo.