Mercoledì 24 Aprile 2024

Un salto nell’oro, e Gimbo batte il destino

Il marchigiano ha vinto l’alto ex aequo con il qatariota Barshim a 2,37, cinque anni dopo l’infortunio che gli tolse la chance di Rio

dall’inviato Leo Turrini

Chiedo subito scusa al lettore: questo è un articolo un po’ datato. È vecchio di cinque anni. L’avevo preparato alla vigilia dei Giochi di Rio. Quando ero sicuro che Gimbo Tamberi avrebbe vinto l’oro nel salto in alto.

Era un testo algido, perfettino. Tanto, il figlio d’arte marchigiano (lo allena il padre) aveva troppo margine sulla concorrenza. Chi poteva battere l’italiano capace di saltare 2,39?!?

Poi arrivò una telefonata. Mi dissero che Gimbo si era rotto qualcosa di serio. Era stato abbattuto in volo dalla contraerea del Destino. In Brasile venne lo stesso, da spettatore. Guardammo insieme il trionfo dell’amico comune Paltrinieri nei 1500 stile libero. Ma era, Tamberi, un’anima in pena. Un uomo sconfitto dalla ferocia del Fato.

Così, archiviai l’articolo in un angolo del computer. L’ho recuperato ieri, mentre il Campione mostrava il calco del gesso che nel 2016 aveva imprigionato il suo sogno e aveva annientato la sua speranza.

Ah, Gimbo! Se solo potessi trovarle adesso, le parole che avevo preparato nel 2016! Ma temo non mi servirebbero, perché stavolta l’emozione è speciale, è diversa, è sublime.

Ora seguitemi nel viaggio, perché rischio di finire inghiottito dal vortice tumultuoso della passione.

Che cosa è il salto in alto, nella sua nobiltà? In fondo è una partita a poker. Chi avrà in mano le carte migliori? Chi starà bluffando?

Tamberi l’ho visto entrare nello stadio vuoto e di colpo ho avuto l’impressione fosse quello del 2016. Cercava con lo sguardo i compagni di nazionale sugli spalti e li incitava a fare casino. Un artista? Un pokerista? Un genio? Forse tutte e tre le cose insieme.

Intanto l’asticella saliva. Lasciamo stare le misure di partenza. 2,27: perfetto. 2,30: perfetto. 2,33: perfetto. Ohi, ma qui il tempo è tornato indietro, siamo nel 2016. Gimbo ha incrociato il passato e con una magia l’ha trasformato nel presente. Da quanto tempo non saltava così bene?

Oh, Signore. 2,35: perfetto. Ma tu mi stai spaccando il cuore, ragazzo. Intanto la concorrenza si dirada. Il coreano, il bielorusso, l’americano: via, a casa, questa è la notte dei miracoli, veniamo dalle Marche e siamo cittadini del mondo, anzi, in pedana pretendiamo di esserne padroni.

Intanto è passato Jacobs, ha abbracciato Gimbo dopo la sua semifinale dei 100, pareva una scena di Guerre Stellari.

Che la Forza sia con te, Gimbo. Ti hanno mai detto che somigli a Luke Skywalker?

Io ho gli occhi lucidi, la perfezione a 2,37 manco l’ho vista, stavo per piangere e al vicino di tribuna ho detto che era colpa di un moscerino. Oppure di una cipolla sfuggita ad un cuoco giapponese distratto.

2,37: perfetto. È restato solo il qatarino o qatariota, Bashrim, grande signore e grande amico di Tamberi, anche lui ha conosciuto il dolore dell’infortunio.

Perché dovrebbe esserci uno spareggio per l’oro, dopo gli errori di entrambi a 2,39? Ma dove sta scritto?

Qui c’è una ingiustizia da sanare. Qui c’è un miracolo da perfezionare. Qui c’è da piangere per la felicità, piangere senza ritegno, senza vergogna, senza pudore.

Gimbo Tamberi ha vinto l’Olimpiade. L’avevo già scritto cinque anni fa, solo che all’epoca non avevo potuto pubblicarlo, l’articolo.

Grazie, ragazzo.