Venerdì 26 Aprile 2024

La ballata di Noah: "Vincere non è tutto"

L’ex campione francese ora è un cantante reggae: "La musica mi ha permesso di ritrovare me stesso. Che bravo Sinner"

Migration

di Giulio Mola

"Una volta mi divertivo con il serve & volley, adesso canto la pace, l’amicizia, la solidarietà. Quando sono sul palco raggiungo uno stato di grazia che raramente ho vissuto su un campo da tennis". Sulla terrazza dell’Aspria Harbour Club di Milano con vista campi da tennis della “sua” terra rossa non tutti lo riconoscono subito. Perché a 62 anni Yannick Noah non si atteggia a ex divo della racchetta. Sigaretta fra le dita, cappellino nero, abbigliamento casual. Parla, ricorda, racconta. Poi qualcuno ben sopra gli “anta” capisce che è lui. Il campione francese che ha fatto divertire i ragazzi degli anni ‘80, arrivato in città come “ambassador” de Le Coq Sportif per giocare a tennis (e padel) con i ragazzini.

Sabato sera era in Bretagna per uno dei suoi concerti, poi è volato in Italia per parlare di sport. Se dovesse spiegare agli adolescenti chi è stato Yannick Noah, da dove comincerebbe?

"Da quello che sono oggi. Una persona felice, in pace con la vita. Una volta ero un tennista, vero. Ho vinto 23 tornei del Grande Slam in singolare e sono stato numero 3 del mondo. Avevo tanto, però mi mancava la famiglia, e l’adolescenza mi era sfuggita. Così quando è finita la carriera mi sono sentito “incompleto” e ho guardato fuori dal mio mondo. Ho voluto conoscere e amare. E non c’è terapia migliore della musica, per tutto".

La stessa terapia che l’ha aiutata nel periodo di depressione dopo il trionfo del 1983...

"Vinsi al Roland Garros, mi sentii in paradiso, poi capii che non c’era spazio per me, per la persona che ero fuori dal tennis. Ma grazie alle mie canzoni ebbi la possibilità di mostrare la mia sensibilità e le mie fragilità. È importante credere in qualcosa per riuscire a sopravvivere".

Con il tennis e poi con la musica lei continua a trasmettere messaggi su tolleranza, lotta ai pregiudizi e soprattutto i diritti violati dell’infanzia...

"Penso al passato, proprio a Milano cominciai a farmi conoscere vincendo il doppio nel torneo Avvenire. Giocai contro Lendl ed Edberg, eravamo appena quindicenni. Per questo credo ancora oggi che lo sport possa portare valori sani e positivi ai bambini, ma bisogna combattere alcune cose della cattiva società, soprattutto il razzismo. Ma io in questo sport moderno mi ci riconosco sempre meno, vedo pochi artisti e troppi superatleti. Nel tennis l’eccezione è Federer, ovviamente. Le lacrime dell’altro giorno esprimono tanta umanità".

Borg con McEnroe, Federer con Nadal e lei con Wilander. Che cosa avete in comune?

"La poesia del tennis. E poi l’amicizia e il rispetto. Wilander per me è un fratello, andiamo insieme in vacanza. E vedere Federer e Nadal mano nella mano è stato bellissimo. Poi viene tutto il resto: tornei e bandiere".

Le piace questo tennis?

"Guardavo Roger e mi divertivo. E mi piace tanto anche Sinner, è uno dei nuovi “superoi”. Entrare nella top ten non è facile, è bello vedere un italiano che vince grazie alla qualità del lavoro. Però con le racchette di una volta oggi potrei battere anche Djokovic (sorride...)".

Il suo amico Panatta dice che rispetto al tennis il padel ‘è il trionfo delle pippe’...

"Nel padel è piu facile per tutti divertirsi...".

Cosa significa vivere la vita?

"Conta come la vivi, e io sono nato per amare il mio destino. Alzarsi al mattino, andare a comprare il pane e incontrare la gente. E’ importante il modo in cui tratti le persone: io oggi canto per comunicare qualcosa, i miei valori. Che poi sono la mia vita".