Mercoledì 24 Aprile 2024

Kessie-doppietta, Milan ritrova la Champions

Due rigori decidono la partita con l’Atalanta, palo di Leao. I rossoneri chiudono secondi e tornano dopo sette anni nell’Europa che conta

di Giulio Mola

Missione compiuta. La notte da 50 milioni di buoni motivi sorride al Milan che espugna Bergamo (0-2, sedicesima vittoria in trasferta) dopo novanta minuti pieni di tensione, si piazza alle spalle dell’Inter con 79 punti e, quel che più conta, riabbraccia la Champions League a distanza di sette anni dall’ultima apparizione. A riportare i rossoneri nel loro “habitat naturale“ (Galliani dixit) ci ha pensato Frank Kessie, “gelido“ due volte dal dischetto: al minuto 42’ nell’unica vera occasione del primo tempo (rigore concesso da Mariani per energica entrata di Maehle su Theo Hernandez) e poi in pieno recupero, dopo aver “subìto“ (ma controllato) il calcio dell’Atalanta.

Senza Ibrahimovic, in panchina a spronare i compagni, è stato ancora una volta il “Presidente“ a indossare i panni del leader (e non solo per i 13 centri stagionali) di una squadra “paralizzata“ dalla paura per lunghi tratti della gara, ma attenta in difesa avendo concesso poco o nulla agli avversari (un tiro di Zapata dopo un’ora di gioco e qualche iniziativa di Muriel nel finale), parsi giù di tono dopo il ko in Coppa Italia. Ritmi blandi, tanti errori e poche conclusioni. Ma la posta in palio per i rossoneri era altissima, e allora vanno sottolineate la generosità di Leao (clamoroso palo nella ripresa), il coraggio di Brahim Diaz e la concentrazione di Kjaer.

Insomma, tornare nell’elite del calcio continentale non è stato facile ma la soddisfazione è doppia proprio perché arrivata nel momento più difficile. L’esultanza liberatoria del gruppo al triplice fischio è servita a sciogliere l’ansia e i timori della lunga vigilia, ma la vittoria al Gewiss Stadium e l’obiettivo raggiunto regalano finalmente gioia e sorrisi al popolo rossonero dopo stagioni tribolate, indecifrabili e contraddittorie, passando dal nostalgico addio di Silvio Berlusconi alla sciagurata gestione del misterioso Yonghong Li, fino al provvidenziale intervento di Elliott. Il fondo americano col tempo ha fatto tesoro degli errori commessi nei primi mesi, consegnando il Milan nelle affidabili mani di Paolo Maldini e Stefano Pioli, i veri artefici del capolavoro. "Siamo partiti da molto lontano, abbiamo fatto anche cose inaspettate. Ci sono state le occasioni per chiudere prima questo discorso, simbolicamente è il completamento di un cerchio che ci ha visto protagonisti di 15 mesi di alta qualità e grandi risultati", le parole dell’dt, che dopo un normale periodo di apprendistato e qualche incomprensione con l’amministratore delegato Ivan Gazidis, ha avuto ragione: perché ha riportato il dna rossonero mettendo a disposizione professionalità e competenze

Ma questo è anche il secondo posto dell’allenatore, dopo un anno e mezzo di duro lavoro. Pioli è stato capace di resistere anche col mare in tempesta, si è tappato le orecchie di fronte alle critiche più ingiuste e ha modellato una squadra che per molti mesi addirittura si è permessa di guardare tutti dall’alto verso il basso. Ha gestito campioni ingombranti come Ibra e talenti fragili come Donnarumma, ha dato un’anima allo spogliatoio dopo aver rimotivato i vari Calabria, Kessie e Calhanoglu. La Champions, anche se conquistata in extremis, è il giusto premio che ripaga tutti dopo sacrifici, lacrime e sangue dell’ultimo abbondante lustro. Ed è un punto di ripartenza per continuare la scalata, in Italia e in Europa. Cercando di conservare questo gruppo (prima scadenza il rinnovo di Gigio) e provando in maniera oculata, ad investire sul mercato.