Venerdì 26 Aprile 2024

E Montezemolo riaccese la Ferrari dei sogni

Trent’anni fa diventò presidente e diede il via al ciclo vincente con Schumi e Todt fino a Raikkonen. Senza di lui, la Rossa si è fermata

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di Leo Turrini

Trenta anni fa, nell’autunno del 1991, Luca Cordero di Montezemolo diventava presidente della Ferrari. Fu una scelta personale e oserei dire quasi intima di Gianni Agnelli: l’Avvocato, sempre distratto da talvolta futili incombenze, ebbe un’intuizione felice. Non poteva e non voleva permettere che l’azienda di Maranello, raro gioiello dell’impero Fiat, facesse la fine triste di altri satelliti dell’Impero torinese: la Lancia e l’Alfa Romeo, tanto per capirci.

È passata una vita e ci sta di scriverlo: fu una fortuna, quella decisione. Per la Ferrari, sicuramente. Per l’Italia, certo: oggi in Borsa il Cavallino vale più di trenta miliardi di euro, non so se mi spiego (mi spiego, mi spiego). Non solo. Da quella nomina, che colse in contropiede tanti, derivarono conseguenze non irrilevanti sul costume di una nazione intera. Senza esagerare: dall’autunno del 1991 all’autunno del 2014, quando Montezemolo fu liquidato senza un grazie dagli eredi dell’Avvocato, la Ferrari si è definitivamente trasformata in una icona globale. In un brand, come dicono quelli bravi, che valorizza un territorio, una passione, una emozione. Sia chiaro: io sono amico di Montezemolo e me ne vanto pure. Ma ci diamo ancora del “lei”, non gli ho mai chiesto un favore e lui mai mi ha domandato di attenuare una critica, una contestazione, un giudizio negativo sulle sue scelte. Anzi, una volta sì: avevo scritto che forse si tingeva i capelli per fingersi più giovane e lui mi pregò di smentire, per non turbare le sue frequentazioni private…

E insomma, insomma: ci sarà un motivo se oggi, 2021, tutti ricordiamo con un filo di nostalgia le imprese di Michael Schumacher, le smorfie di Jean Todt, le euforie collettive per sorpassi che sembravano impossibili! Tra il 1997 e il 2012, la Ferrari ha vinto sei titoli iridati fra i piloti, otto tra i costruttori e ne ha persi sette all’ultima gara. Credo sia un record. E dopo il 2014, dopo la fine dell’era Montezemolo, la Rossa del ruvido Marchionne e del pallido Elkann mai nemmeno è arrivata al chilometro finale di un campionato a giocarsi qualcosa.

Coincidenze? Non credo proprio. Credo invece che Luca (e questo Agnelli lo aveva compreso perfettamente) fosse ferrarista “dentro”. Aveva collaborato da ragazzo con il Drake, nei giorni di Lauda. E aveva radici emiliane, dunque con lui non dovevi perdere tempo a spiegare cosa fosse l’unicità del Cavallino. Lo sapeva già.

Così, animato da un sentimento popolare che nasce forse da meccaniche divine, Montezemolo presidente ha dato il meglio di se stesso. Ha ingaggiato Todt. Ha sedotto Schumacher. Soprattutto, ha convinto chiunque gli fosse accanto che valeva la pena spendersi per quel sogno. Estendendo alla produzione di serie le felici intuizioni del reparto corse: da meno di duemila Ferrari vendute a fine 2001, nel 2014 sfiorava le diecimila.

Errori, ne ha fatti. Soprattutto nella fase terminale del suo mandato, quando accettò la rinuncia ai test per le vetture di F1, non seppe trattenere in Italia Ross Brawn, poi padre dell’era Mercedes, e si fidò troppo di Fernando Alonso. Eppure, il bilancio resta straordinariamente positivo. Trent’anni anni fa, a Maranello cominciò un romanzo bellissimo. Nonché, temo!, irripetibile.

Ps. Comunque, al netto di ogni smentita, Luca secondo me i capelli se li tingeva.