Mercoledì 24 Aprile 2024

Cara Ferrari, perché non l’hai chiamato?

Leo

Turrini

Che Stefano Domenicali, classe 1965, sia destinato a diventare il nuovo Bernie Ecclestone non mi sorprende. Ha talento, ha competenza, ha cuore. Per me è come un fratello. E lo considero un patrimonio di una Italia che crede nel valore del lavoro.

Quando la cosa diventerà ufficiale, questa nomina di Domenicali al vertice del Circo a quattro ruote sarà una buonissima cosa per la Formula Uno. Affidare il futuro dei Gran Premi ad un manager cresciuto a pane e Ferrari, ultimo team principal campione del mondo con la Rossa a livello costruttori nel 2008 e prima ancora diesse nell’era Schumi, ecco, è una garanzia per chi non immagina un futuro, per quanto doverosamente eco compatibile!, senza sfide a trecento all’ora.

Mi stupisce, invece, che da TorinoDetroitMaranello non sia mai partita una telefonata.

Qualcuno forse ricorderà. In tempi non sospetti, cioè pre disastro 2020, io avevo sostenuto candidamente, su queste colonne, che Stefano Domenicali era l’uomo perfetto per la presidenza della Ferrari.

Amore per il marchio. Conoscenza totale dell’universo aziendale. Passione, ovvia, per la Formula Uno. E infine, grande successo professionale ottenuto in Lamborghini, brand rivale del Cavallino sui mercati.

Di più.

A quella chiamata, che John Elkann avrebbe dovuto fare!, Domenicali avrebbe risposto sì.

E invece.

Pace.

Aggiungo una cosa.

Todt alla Fia.

Brawn e presto Domenicali al top di Liberty Media.

Ma come era bella la mia Ferrari, quella vincente che ho avuto il piacere di raccontare per anni e anni?