Venerdì 26 Aprile 2024

Coronavirus, Gravina: "Non voglio essere il becchino del calcio italiano"

Il presidente della Figc Gravina ha puntualizzato i motivi della forte volontà di riprendere il campionato, tra obblighi e necessità

Il presidente della Figc Gravina (Ansa)

Il presidente della Figc Gravina (Ansa)

Roma, 20 aprile 2020 - Il presidente della Figc Gravina è una delle voci più ricorrenti di queste settimane. Nell'ultima intervista ha tenuto a precisare le ragioni della sua forte volontà di far riprendere il campionato, il cui nuovo inizio è previsto per il momento per la fine del mese di maggio. "In questo momento ci sono due gruppi apparentemente contrapposti: la corrente di pensiero che ritiene che si debba chiudere tutta l'attività legata al mondo dello sport e l'altra, della quale faccio parte, che ritiene di continuare. Io parlo del possibile e quando parlo di possibilità faccio riferimento al fatto che nel mese di giugno si possa vivere un mese di sollievo, poi sappiamo che la sospensione potrebbe generare una serie di contenziosi legali e giuridici".

Decisione che quindi sembra già presa da lui, con il solo governo che potrebbe impedire la ripresa dei campionati in queste settimane. "La responsabilità la lascio al Governo, accoglierei con più sollievo l'ipotesi che a fermare i campionati siano loro. Potete immaginare il dramma che sto vivendo in queste settimane nel dover reggere in maniera quasi isolata questa mia battaglia. Ma il calcio italiano non è una monade separata dalle altre categorie professionali del nostro Paese e le altre istituzioni intercontinentali. C'è però un sentimento importante: quello della speranza".

Punto focale anche la posizione sulla salute degli atleti, con l'analisi di quelle che sarebbero le procedure per far giocare i calciatori. "Per quanto riguarda tamponi e test, ci sono cliniche a disposizione. Non può essere questo l'ostacolo per far ripartire il calcio. Governare il mondo amatoriale è molto più difficile e infatti per questo abbiamo aperto un discorso più ampio".

Infine la precisazione sul motivo per cui fermare il calcio sarebbe una grave perdita per il movimento e per il Paese. "Il calcio muove circa 5 miliardi di euro. Fermarsi oggi sarebbe un disastro ma siamo preoccupati perché se il calcio non riparte sono problemi sul futuro. Una scelta di questo tipo comporterebbe responsabilità inaudite. Io non posso essere il becchino del calcio italiano. Devo difendere il calcio e non capisco la resistenza nel non avviare, con tutte le garanzie possibili, una riorganizzazione dell'intero movimento sportivo".