Lunedì 6 Maggio 2024

Rigopiano, "Dodici metri di neve e macerie per salvare i superstiti"

L'ingegner Giuseppe Romano dei vigili del fuoco racconta le tecniche di salvataggio. "Terremoto, valanga e crollo insieme, emergenza mai vista. L'anno prossimo sarà simulata in un'esercitazione internazionale, forse in Trentino"

L'ingegner Giuseppe Romano (al centro con il casco rosso)

L'ingegner Giuseppe Romano (al centro con il casco rosso)

Roma, 31 gennaio 2019 - Scenario di guerra, a Rigopiano. Nove persone salvate dalle macerie, l’ultima vittima, la 29esima, recuperata nella notte del 25 gennaio, una settimana dopo la strage. Ingegner Giuseppe Romano, all’epoca lei era coordinatore nazionale delle emergenze per i vigili del fuoco. Sul Gran Sasso ha coordinato le operazioni di soccorso, dal giorno successivo alla valanga, al lavoro centinaia di uomini. Diventati eroi nazionali. Da dove siete partiti? “Innanzitutto dalla raccolta d’informazioni. La ricerca non è mai stata alla cieca”. In questo ha avuto un ruolo importante Fabio Salzetta, il manutentore scampato, fratello di Linda, una delle 29 vittime. “Sì, certo. È stato lì a lungo, è stato preziosissimo. Ci ha spiegato com’era fatto l’albergo, come si svolgeva la giornata. Quindi abbiamo recuperato rapidamente le planimetrie. E abbiamo cominciato a chiamare, fino a quando qualcuno ha risposto. Le voci hanno indirizzato i percorsi”. Che strumenti avete utilizzato? “Pale e badili per la neve, che non era pulita, dentro c'erano alberi e rocce. Poi martelli demolitori per le macerie dell’hotel, troncatrici per tagliare le parti in legno o in ferro, pinze da taglio per i tondini. E telecamere intrusive, snake camera, camere serpente, l’occhio è in testa a una parte flessibile con la quale si cerca di entrare nelle macerie. Abbiamo usato anche misuratori di gas, era uscito dalle tubazioni delle cucine, era urgente verificare se l’atmosfera fosse esplosiva”.

La novità. “Tecnologie che ci erano state date da poco tempo, che stavamo sperimentando, le immagini di chi operava dentro trasmesse fuori, in modo da poter seguire le operazioni”. Per aiutare chi era sotto. “Chi lavora tra le macerie è in condizioni molto difficili. Uno sguardo da fuori è utile, permette di notare particolari che l’altro non vede”. Immaginiamo una sezione della devastazione che avevate davanti agli occhi. Facciamo il percorso di un soccorritore, diamo i numeri del disastro. “Prima c’è una barriera di neve alta dai quattro ai sei metri, in certi punti”. Avanti. “Si arriva alle macerie dell’hotel, altri sette-otto metri. Tanto sì, ma dobbiamo ricordarci che l’albergo era di tre piani. Per arrivare alla stanza del biliardo, dov’erano i tre bambini (Edoardo, Samuel e Lodovica, ndr) ci saranno stati quattro-sei metri da superare”. Vi siete calati nel cunicolo. “In alcuni punti era largo meno di un metro, direi tra i 40 e i 60 centimetri. Poi è stato ampliato per far passare i bambini”. E come si fa ad avere la certezza che non crolli tutto? C’era anche il terremoto. “Il cunicolo viene puntellato come una galleria, è un lavoro che fanno gli esperti. La tecnica è evoluta”. Il coraggio più grande. E quanto avete impiegato per raggiungere i bambini, nella sala del biliardo? “Direi venti ore, un lavoro ininterrotto in tre turni. Abbiamo individuato i piccoli dalle voci. Finché non li tiri fuori, continui a parlare. C’è chi parla, chi lavora, a volte chi parla e lavora è la stessa persona”. Non dev’essere semplice convincere dei piccoli a seguirti in un cunicolo così impegnativo. “Faccio questo lavoro da qualche decennio ma rimango colpito dai nostri che acquisiscono con il tempo sensibilità e strumenti psicologici davvero sorprendenti”. Chi viene salvato resta legato ai soccorritori da un rapporto speciale. “Vero. Ero responsabile del centro operativo di Foligno, dopo il terremoto del ’97. Le scuole avevano riaperto ma le famiglie erano preoccupate. Allora abbiamo messo i vigili del fuoco all’ingresso. Cosa facevano? Nulla. Davano sicurezza psicologica. Per un po’ di giorni hanno fatto questo, stavano lì”. Il rapporto umano con le famiglie delle vittime nei giorni di Rigopiano. “La parte più dura per me è stato l’incontro con i familiari. La prima volta per dire che avevamo speranze, poi per dire che le speranze non erano più quelle dell’inizio. Ricordo l’incontro con i Feniello”. Le fonti ufficiali avevano comunicato alla famiglia: Stefano è vivo. Qualche giorno dopo la smentita. Il figlio di Alessio e Maria era tra le 29 vittime. “Mamma e papà mi hanno chiesto di parlare con il ragazzo che aveva lavorato e aveva raggiunto il figlio e la fidanzata». Lei poi si è salvata. “Li ho fatti incontrare con questo vigile del fuoco di Roma”. S'interrompe, la voce s'incrina: “Non è facile da raccontare”. I genitori volevano capire se si era fatto di tutto per salvare Stefano. “Sì, erano tormentati da questo. Il soccorritore parlava in modo tranquillo, pacato. A un certo punto ha detto: signora sa chi sono io? Ho perso mamma, papà e fratello in un crollo a Roma. Non sarei mai venuto fuori di lì anche solo con il dubbio di non aver fatto qualcosa che dovevo fare. Ricordo ancora la sua pacatezza. Sono rimasto senza parole”. Racconterete Rigopiano al mondo. “Soprattutto è il mondo che ce lo chiede. Rigopiano e anche Genova, quando andiamo nei consessi internazionali. La Protezione civile l’anno prossimo organizzerà un’esercitazione piuttosto importante, si cercherà di ricostruire lo scenario del 18 gennaio 2017, terremoto, valanga e crollo di edificio”. Dove? “Forse in Trentino, ci stanno lavorando, ancora non è stato definito”. In altre parole, sarà simulata un’altra Rigopiano. “Sì, perché nessun team internazionale era preparato a un evento del genere. I modelli Usar di Insarag - international search and rescue advisory group, l’ente delle Nazioni Unite che standardizza le operazioni delle squadre di ricerca e soccorso -, non contemplano questo scenario. Si cercherà di aggiornare le tecniche, le procedure, i sistemi, per addestrare le squadre”. A chi è rivolta l’esercitazione? “A diversi stati europei. Probabilmente il sistema Italia - Protezione civile, vigili del fuoco e penso soccorso alpino - condurrà le esercitazioni”. Ingegnere, cosa resta dopo Rigopiano? “Come Paese diamo molte cose per scontate ma non è affatto così. Un corpo come il nostro che si occupa di soccorso, stabilità degli edifici, sostanze pericolose, non è diffuso dappertutto. Quindi dobbiamo essere più attenti, renderci conto delle cose buone che siamo riusciti a fare”. I soccorritori sono eroi per i cittadini, ma è anche vero che siamo il paese dei disastri che si potevano evitare. “Questo purtroppo è un tema terribile, non riusciamo a imparare dalle catastrofi”.