Mercoledì 24 Aprile 2024

Giorgetti firma la tregua (armata). "Tutta la Lega sta con Salvini"

Il segretario del Carroccio riscuote la fiducia unanime: "Ascolto e decido, come sono solito fare"

Matteo Salvini (Ansa)

Matteo Salvini (Ansa)

Se qualcuno ne avesse mai dubitato, Salvini riscuote la fiducia unanime del consiglio federale leghista. Giorgetti compreso: "Io sto con Matteo". Esito scontatissimo, perchè il Capitano conserva il controllo dello stato maggiore, e in fondo lo stesso numero due non ha mai apertamente sfidato la sua leadership. Pronto, peraltro, ad allinearsi alle scelte del capo, che mette subito in chiaro: "Ascolto tutti e decido, come sono solito fare". Pretende la “resa“ dei ribelli, ministro dello Sviluppo in testa.

Ma c’è chi nota come il fatto d’aver dovuto ribadire ufficialmente d’essere l’unico autorizzato a dare la linea al partito, sia un segno di debolezza. In ogni caso, il capo leghista lascia il palazzo dei gruppi a Montecitorio con la certezza d’aver ottenuto una tregua armata. In attesa della assemblea programmatica che si svolgerà l’11 e il 12 dicembre a Roma con l’obiettivo di mettere un punto fermo sulla strategia del Carroccio. Non solo a livello europeo, dove il suo "mai con il Ppe" è netto, pure rispetto all’attuale e alla scelta del capo dello Stato.

Salvini prima di dare il via alla riunione era stato chiaro: "Il Consiglio federale penso che approverà all’unanimità le posizioni presenti e future della Lega che in Italia e in Europa sono e saranno alternative alla sinistra". Parla per 50 minuti, in una sala Salvadori blindatissima, sottolineando l’esigenza di stare compatti e sui fatti: "Mi interessa parlare di flat tax o bonus ai genitori separati. Mi appassionano i temi concreti". Vuole mettere la sordina alle voci di crepe interne: intollerabili le ultime uscite di Giorgetti; urge stoppare la corrente governista che continua a prendere le distanze, bacchettando quella linea di "lotta" e "di governo" a lui cara. "La visione della Lega è vincente", scandisce.

Oltre all’antagonista, ad ascoltarlo ci sono gli altri due vicesegretari Lorenzo Fontana e Andrea Crippa, i capigruppo di Camera e Senato, i commissari regionali e, collegati in video, i governatori da Zaia a Fedriga nonché i capi delegazione a Strasburgo, Marco Campomenosi e Marco Zanni. Ecco: sul fronte della coalizione europea che, in realtà, è quello di una scelta tra una Lega sovranista e radicale oppure europeista e moderata, il leader non lascia spazio a mediazioni: "Andiamo avanti sulla costruzione di un gruppo identitario, conservatore e alternativo alla sinistra con cui il Ppe è alleato". E se non fosse stato abbastanza chiaro, rincara subito: "Il Ppe non è mai stato cosi debole, è impensabile entrarci anche perchè è subalterno alla sinistra". De profundis per la linea di Giorgetti ma anche dei presidenti di Regione del Carroccio.

Quanto al governo, Salvini non è altrettanto chiaro, benché sia proprio quello il punto che più interessa a Giorgetti. Se si è spinto tanto in là da assumere una posizione molto netta, contrariamente alle sue abitudini è proprio per la paura che Salvini scosso dal risultato delle comunali e dall’oramai avvenuto sorpasso nei sondaggi di Fd’I mediti di chiudere l’esperienza subito dopo la manovra. Il Capitano non scopre le carte, o forse ancora non ha deciso cosa vuole fare. Promette una battaglia sul fisco ma nel mirino c’è il reddito di cittadinanza: "Nove miliardi regalati a furbi e evasori sono un insulto a chi fatica e lavora, interverremo in Parlamento per dirottare parte di quei soldi sul taglio delle tasse". È una battaglia persa in partenza, ma potrebbe anche essere la scusa perfetta per dichiarare chiusa la "positiva esperienza"del governo Draghi. La stessa convocazione della conferenza ha un vistoso margine di ambiguità: "Serve a sancire, aggiornare e decidere i binari su cui viaggiamo". Più che il detto spicca il non detto. Per la prima volta da quando è entrato in maggioranza, Salvini non proclama la sua indefessa lealtà al governo Draghi. Sul fronte europeo la partita è chiusa con la resa totale, almeno per ora, degli europeisti. Sul fronte interno tutto si capirà tra poco più di un mese. Ma se anche le assise di dicembre si dovessero concludere con la sconfitta della linea governista un motivo di soddisfazione per Giorgetti resterebbe: a quel punto nulla ostacolerebbe più l’ascesa di Draghi al Colle.