Lunedì 29 Aprile 2024

Pd, la tentazione di Renzi: subito a congresso. Dialogo proibito con M5s

L'ex premier riunisce i fedelissimi: Lotti, Marcucci, Bonifazi, Delrio e la Boschi

La delegazione Pd al termine delle consultazioni (Afp)

La delegazione Pd al termine delle consultazioni (Afp)

Roma, 6 aprile 2018 - Il Pd non è per nulla tentato di andare ‘a vedere’, come si direbbe seduti a un tavolo di poker, l’offerta di dialogo (e di incontro) dei 5 Stelle. Eppure, ieri, uscendo dal Quirinale, il leader pentastellato Di Maio ha formalizzato la richiesta di un incontro «sui programmi» sia al Pd che alla Lega. Con un’aggiunta tattica non di poco conto, Di Maio, ha specificato di «non voler spaccare il Pd». La traduzione è: io voglio parlare con il Pd, Renzi o non Renzi. Ma la mossa tattica è servita a poco.  «Il Pd – spiegano fonti parlamentari dem – dirà di no sia a un incontro con Di Maio, sia con Salvini. Le consultazioni le facciamo al Quirinale». Eppure, il segretario Martina sarebbe stato tentato di andare a vedere le carte di Di Maio, almeno a caldo, e anche Delrio avrebbe espresso qualche timida apertura mentre da parte di Orfini e Marcucci il no a Di Maio sarebbe stato nettissimo. 

Invece, altri big dem (Franceschini, Orlando, Fassino), come Martina, sarebbero tentati di dialogare con i 5 Stelle. Anche da Palazzo Chigi si sostiene che «non si può dire di no a un incontro chiesto da un leader per fare un governo». Invece, dal canto suo, il Colle non esprime alcun giudizio sulle scelte dei singoli partiti di vedere o non vedere altri partiti: se il Pd incontra Di Maio non è un problema di Mattarella. E al Colle si era recata, di prima mattina, la delegazione dem composta da Martina, Orfini e dai due capigruppo di Camera e Senato, Marcucci e Delrio. Il segretario reggente è stato netto: «Il Pd vigilerà all’opposizione».

Ma la giornata è stata caratterizzata anche da una riunione dei renziani che, alla presenza dell’ex leader, si sono incontrati in un posto singolare, lo studio della società del capogruppo al Senato, Marcucci, che ha sede in via Veneto. Presente la créme del renzismo (Boschi, Lotti, Bonifazi, Guerini), ma anche renziani non ortodossi, come Delrio, la discussione è stata centrata tutta sull’Assemblea nazionale. Candidare un nome alternativo a Martina o convergere su di lui ottenendo piene garanzie sulla segreteria e i ruoli chiave è stato, in buona sostanza, il busillis. Per i pontieri (Guerini) la linea è «Martina ci offre piene garanzie, fidiamoci». Per i pasdaran (Boschi, Lotti, Bonifazi, Marcucci) bisogna, invece, operare un colpo di mano (o di genio). Si tratta, prima del 21 aprile, di presentare un ordine del giorno per chiedere di non votare il segretario in assemblea, ma di indire le primarie. La presentazione dei candidati in assemblea dovrebbe aspettare, per essere formalizzata, questa votazione e se vincesse il partito del «congresso subito», cioè le primarie, l’assemblea si chiuderebbe così, senza altre votazioni. Quindi niente Martina, ma reggenza e poi presentazione delle candidature per un congresso vero. Particolare non trascurabile, Renzi controlla ben più della metà (700) dei componenti dell’assemblea (mille delegati). Renzi, ai suoi pasdaran, ha chiesto «calma e gesso», ma la linea del congresso subito, a oggi, è quella più gettonata.