Se "il potere logora chi non ce l’ha", niente più della satira corrobora chi ce l’ha. Il che spiega la meticolosa passione rivolta da Giulio Andreotti, da sornione apostolo qual era di Talleyrand e del suo celebre adagio, a collezionar le vignette di cui era Divo. Un patrimonio di 4mila tavole, in parte originali, raccolte in oltre 40 anni ai vertici della politica nazionale: 130 sono esposte a Roma col titolo L’insostenibile leggerezza dell’estero. Satira politica 1950-1991. Sommaria rassegna di episodi internazionali della Prima Repubblica che hanno visto protagonista Andreotti, ma anche di un’irriverenza delle caricature cui oggigiorno non sarebbe consentito essere altrettanto spietate e ficcanti. Né probabilmente se lo consentirebbero gli autori.
Due tavole per tutte, a firma Giorgio Forattini, sul sequestro dell’Achille Lauro da parte di un commando palestinese nel 1985 e la relativa crisi di Sigonella, quando il governo italiano non consentì alle forze Usa di prendere in consegna il commando. In una Craxi e Andreotti, premier e ministro degli Esteri, ghutra araba in testa, buttano giù dalla nave il ministro della Difesa filo-americano Spadolini in carrozzina, come accaduto a Leon Klinghoffer, il passeggero ebreo statunitense ucciso dai terroristi. Nell’altra, sempre riferita ai sequestratori palestinesi, Andreotti, coppola in testa, suggerisce a Craxi: "Se li facessimo processare dalla mafia?". Ma anche quella di Vauro sul viaggio del 1985 nel Sudafrica sotto embargo: il ministro in abito e cappuccio da Ku Klux Klan che sogghigna "scherzi da Pretoria".
Picchiava allo stomaco la matita. E pure puntuta. Neanche una volta, però, l’esponente dc sporse querela. Consapevole che si lamenta della satira solo "chi non è abbastanza in vista per esserne oggetto", come ricorda la figlia Serena, presidente del Comitato Archivio Andreotti, a suo tempo da lui donato all’Istituto Luigi Sturzo, organizzatore insieme alla Hanns Seidel Stiftung (Fondazione tedesca dei cristiano-democratici della Baviera che opera sulle due sponde del Tevere) della mostra visitabile fino al 12 aprile alla Biblioteca della Camera a Palazzo San Macuto, nell’edificio oggi sede anche del Copasir e della Commissione Antimafia, ma che nel Seicento ospitò l’Inquisizione.
Non solo vignette, ma anche qualche documento di archivio relativo soprattutto all’attività diplomatica del sette volte premier e quattro ministro degli esteri (ininterrottamente dal 1983 al 1989) che ha seduto in parlamento come deputato per le prime dieci legislature (1946-1991) e da senatore a vita per le successive sette.
Quattro le sezioni: blocco occidentale e blocco sovietico, crisi internazionali, diplomazia senza confini, l’Europa. Argomenti di un quarantennio che a distanza si fatica un po’ a ricostruire senza i titoli di giornale cui si riferiscono le vignette, riprodotte ed esposte con cura per il design: compromesso storico, rapporti con l’Urss ("Distensione difficile", dice Cernenko massaggiandolo sul lettino in un disegno di Giannelli), dialogo con il mondo arabo, integrazione europea, riluttanza alla riunificazione tedesca ("Due-Tschland über alles", proclama in una vignetta di Giorgio Cavallo).
Come raccontavano i personaggi "visti da vicino", la scena internazionale era la preferita dal Divo Giulio, il Gobbo, Belzebù o come variamente apostrofato e caricaturato. E se ne ritrova traccia anche nelle foto e nei documenti: dal Libro Verde con dedica di Gheddafi, al primo telegramma da Stoccolma che informa del sequestro dell’Achille Lauro, ai verbali dei colloqui bilaterali. Come quello a Londra nel 1990 con Margaret Thatcher che, "come nella buona tradizione britannica, ha esordito parlando del tempo", rileva il funzionario di ambasciata.