Sabato 7 Giugno 2025
PIERFRANCESCO DE ROBERTIS
Politica

Il caso Salvini jr, la politica tiene famiglia

La storia insegna: tante carriere troncate a causa di disavventure familiari

Il figlio di Salvini in mare sulla moto della polizia

Roma, 1 agosto 2019 - Icastica rappresentazione della nazione, la politica italiana ha sempre tenuto famiglia come d’altra parte la società che rappresenta. E in un paese in cui il passo dalla famiglia al clan è stato spesso brevissimo, i politici non sono mai riusciti a separare fino in fondo i loro destini da quelli dei propri rampolli. Quasi sempre venendone penalizzati. Sia un tempo, quando le porte di casa si aprivano con minore generosità all’esposizione mediatica, sia in epoca più recente, quando l’esibizione della famiglia è diventata strumento della narrazione pubblica.

E sempre loro in prima fila, i figli, elemento magico in grado di stabilire con l’elettore un feeling più sicuro di quello di mogli o compagne, terreno più sdruccioloso. Berlusconi ormai nonno non giurava mai sui nipoti, ma "sui miei figli", Salvini quando vuol ammiccare a qualcosa di concreto alla sua gente parla sempre "da papà", postando generosamente le foto con i suoi due piccoli salvini per esaltare il proprio profilo pop. Purtroppo però accade che una gestione così pubblica della dimensione familiare e la tendenza a farsi cerchio magico, qualche problemino lo porti. Un po’ da sempre, se è vero che già Mussolini dovette faticare per tenere a bada le intemperanze arraffone della figlia Edda e del genero Galeazzo Ciano, e che anche nella prima repubblica, pur caratterizzata da una rappresentazione priva di effetti personali in cui mogli e figli o non esistevano o restavano sempre sottotraccia, ogni tanto qualche rampollo celebre ebbe modo di far parlare di sé. Moro, Andreotti, Fanfani, Togliatti, Nenni furono leader muti di affetti, in cui i contorni familiari erano inesistenti, ma basti pensare alle conseguenze che provocarono sulla politica italiana le gesta attribuite a Piero Piccioni, figlio del delfino di Alcide De Gasperi, Attilio Piccioni, rimasto impigliato in un fattaccio di cronaca nel jet set romano. Era il 1954, fu il Caso Montesi. Oppure l’imbarazzo che provocarono al presidente della Repubblica Giovanni Leone quelle che venivano descritte come le "bravate" di alcuni suoi figli; niente di provato e niente di che, specie con il senno di poi, ma all’epoca fecero molto rumore. Tutte vicende in qualche modo subite, in cui il politico era tirato in mezzo il più delle volte a propria insaputa. Quella vera, e che però visto il clima bacchettone dell’epoca risultarono più fatali per le carriere politiche dei padri.

Poi è arrivata la seconda repubblica, i costumi si sono allentati, i casi si sono moltiplicati, ma le grane portate dai figli qualche ripercussione per i padri l’hanno sempre avuta. Evidenziando uno dei tratti più tipici dell’italiano medio, quello dell’ipocrisia: in una nazione in cui il tasso di familismo è sempre stato altissimo, e si è trattato il più delle volte di familismo amorale, al politico non si perdona ciò che invece ognuno è abituato a fare. Chissà, forse sarebbe caduto lo stesso, ma la vicenda del Trota, della sua laurea in Albania e degli affarucci con i compagnetti della Lega un bel colpo alla parabola finale di Umberto Bossi l’ha dato. Perché poi insieme alla storia della laurea venne fuori la candidatura con annesso stipendio pubblico al consiglio regionale lombardo, che era cosa pubblica ma assunse un’altra luce.

E fatali furono anche le vicende del Rolex regalato al figlio Luca per il ministro Maurizio Lupi, che in seguito a quella storia si dimise dal governo. Qualche tempo prima contraddistinsero le ultime fasi della vita pubblica di Antonio Di Pietro le polemiche su un’indagine sul figlio Cristiano, dal quale il ragazzo uscì indenne qualche tempo dopo. Intanto il danno di immagine all’integerrimo genitore era stato inferto. Come danno provocarono all’ex guardasigilli Clemente Mastella le inchieste per una sospetta raccomandazione sulla moglie Sandra Lonardo e sul figlio Elio Mastella. Anche qui tutti assolti, ma carriera del ministro saltata. Figli insomma più "dannosi" dei magistrati stessi. Indenni invece i rispettivi genitori dopo le illazioni sul figlio del ministro Giovanni Tria, Stefano, e della sua presenza a bordo di una ong che aiuta migranti, e le stesse posizioni antigovernative della figlia dell’allora ministro Padoan, Veronica, in piazza contro il caporalato. Qualche tirata d’orecchi ma niente più. In questo caso del figlio al genitore, ovvio.