
Il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo (Ansa)
Roma, 7 giugno 2025 – Ministro Paolo Zangrillo, la Pubblica amministrazione è la più grande azienda italiana, ha 3,2 milioni di dipendenti. Cosa state facendo per renderla più efficiente?
"Abbiamo avviato un profondo processo di modernizzazione. Stiamo lavorando su due fronti. Da un lato il capitale umano, dall’altro i processi che disciplinano la nostra relazione con cittadini e imprese”.
Partiamo dai lavoratori.
"Abbiamo ereditato una situazione molto complicata. Per il blocco del turnover, dal 2010 al 2020, si sono perse 300mila persone. E lo stop a nuove assunzioni aveva fatto salire l’età media dei lavoratori da 43 a 51 anni e mezzo”.
Che cosa avete fatto?
"Ci siamo mossi per garantire processi di reclutamento efficaci e abbiamo digitalizzato le nostre procedure: prima il tempo medio dei concorsi era di 780 giorni, ora è sceso a 150. Questo ci ha permesso di assumere 350mila persone. L’età media è calata a 49 anni. Poi, c’è la formazione. A fine 2022 il tempo che le veniva dedicato era di sole 6 ore all’anno. Ora sono già salite a 30 e con una recente direttiva abbiamo fissato un obiettivo di 40 ore annuali. E i dirigenti verranno valutati anche sul raggiungimento di questi obiettivi”.
D’accordo, ma 49 anni di età media sono sempre tanti...
"Per questo vogliamo aprire la Pa alle nuove generazioni. Abbiamo un’occasione storica da cogliere: entro il 2033 andranno in pensione un milione di dipendenti pubblici. Per questo il Dipartimento della funzione pubblica ha messo in campo diverse iniziative per essere sempre più attrattivi. Oggi le nuove generazioni non si accontentano del posto fisso. Occorre dare loro un contesto che garantisca percorsi di crescita efficaci, una formazione continua e il riconoscimento del merito. Tutto questo insieme a un’organizzazione capace di bilanciare correttamente l’impegno professionale e la vita privata”.
Anche la retribuzione è importante. A che punto sono i rinnovi contrattuali?
"Stiamo vivendo una situazione che francamente trovo paradossale. Nelle ultime due leggi di bilancio abbiamo stanziato 20 miliardi per i rinnovi dei contratti pubblici. Questo, va ricordato, non era mai accaduto nella storia della Repubblica. Si tratta di uno stanziamento finalizzato a garantire continuità nei rinnovi. Non dimentichiamo che tra il 2009 e 2016 ci sono stati 7 anni di blocco. Poi, tra il 2016 e 2018, la firma di un primo rinnovo ha previsto un incremento del 3,4% a fronte di un’inflazione cumulata del 12%. Oggi, per il 2022-2024, offriamo un incremento medio del 7% che arriva al 9% considerando il salario accessorio. Eppure, Cgil e Uil hanno deciso di non firmare perché considerano insufficienti le risorse. Sono gli stessi sindacati che hanno accetto nel 2016 un’offerta sensibilmente inferiore. Come mai? È evidente che si tratta di una scelta di carattere politico che fuoriesce dalle dinamiche negoziali e che alla fine raggiunge un solo obiettivo: danneggiare i lavoratori”.
Passiamo all’altro tema, quello dei processi. È chiaro che la Pa ha bisogno di una massiccia dose di semplificazioni...
"E la stiamo iniettando. Utilizzando, a pieno, la leva della digitalizzazione. Con il Pnrr abbiamo assunto l’impegno di semplificare 600 procedure amministrative entro il 2026 e ne abbiamo già portate e termine 250. Entro l’estate porteremo in Consiglio dei ministri un decreto per ulteriori 100 semplificazioni. Contestualmente, abbiamo avviato una fase di ascolto con i cittadini, le imprese e gli amministratori locali”.
Si è tanto parlato di meritocrazia. Perché questa dovrebbe essere la volta buona?
"Abbiamo approvato in Consiglio dei ministri un disegno di legge, che presto arriverà in Parlamento, capace di introdurre anche nel pubblico impiego percorsi di carriera basati sul merito. Questo ci consentirà di affiancare alle vigenti dinamiche concorsuali, uno strumento di valorizzazione delle nostre persone affidato ai dirigenti. Sarà un percorso molto selettivo, finalizzato a fare emergere i veri talenti, sulla base di una valorizzazione che terrà conto in modo stringente delle performance”.
Ultima domanda: come voterà al referendum?
"Non andrò a votare. Una delle cose che funzionano nella legislazione giuslavorista è il Jobs Act. Ha garantito modernità in un mondo del lavoro che continua a mutare. Trovo anche curioso che a proporre i referendum siano gli stessi partiti che hanno voluto quella legge. E non condivido affatto le critiche sul non voto. Occorre distinguere le elezioni politiche da quelle referendarie. È lo stesso legislatore che ha previsto per il referendum un quorum, quindi il non voto è espressione di una chiara volontà riconosciuta e garantita. La stessa che, in passato, avevano manifestato pubblicamente illustri esponenti delle nostre Istituzioni”.