Lunedì 20 Maggio 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Crisi di governo più vicina, le condizioni di Draghi. Giovedì il giorno cruciale

Il premier da Mattarella: "Maggioranza unita o lascio". In Senato il voto di fiducia

Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Roma, 12 luglgio 2022 - La crisi di governo temuta per giovedì rischia di scoppiare con 48 ore di anticipo. Quando, a drammatizzare ulteriormente la situazione, sul braccio di ferro con i 5stelle si innesta la richiesta di una verifica avanzata da Berlusconi: basta con il balletto, vogliamo sapere se i grillini sono dentro o fuori. «O ci stanno, o si vota». A dare il senso della gravità del quadro, è l’incontro fuori programma ma volutamente ufficiale, tra il presidente della Repubblica e Draghi. Che sale al Colle a sera, dopo aver messo a punto con i ministri Orlando e Franco le proposte che farà oggi ai sindacati, dalle quali dipende anche la possibilità, se non della pace, di una tregua con i pentastellati. Secondo quanto fanno filtrare hanno parlato un po’ di tutto, è evidente che il piatto forte è stato però la tensione nella maggioranza. 

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Su un punto il premier ha deciso di essere inflessibile: se dopodomani i 5stelle lasceranno l’aula del Senato al momento di esprimersi sulla fiducia come hanno atto ieri alla Camera nel voto finale sul Decreto Aiuti (che comunque ha ricevuto l’ok con 266 sì), lui si dimetterà. E a quel punto la palla passerà al capo dello Stato. Dal Colle giurano che di questo non si è ancora parlato: un passo alla volta. Di fatto è molto probabile, pur se non certo, che il Presidente chiederebbe invece a Draghi di presentarsi di fronte alle Camere per chiarire la situazione e verificare se ha ancora una fiducia solida e non di facciata.  Mattarella ha però insistito con il premier perché cerchi di qui a giovedì l’appeasement, la pacificazione, con i 5stelle, sia prestando orecchio alle loro richieste. sia applicandosi per esercitare una diplomazia che sin qui nei rapporti con Conte è spesso mancata. Draghi ha assicurato che andrà incontro, nei limiti del possibile, alle suggestioni del Movimento. Insomma, alla fine di una giornata tesissima la situazione sembra tornata al punto di partenza. Sin dal week end infatti Conte aspettava proprio un segnale, che il premier dovrebbe inviare oggi, per chiedere poi ai suoi senatori, molto più riottosi dei deputati, di votare la fiducia. Le cose sono identiche solo in apparenza: in realtà la giostra impazzita di ieri ha logorato i nervi.

L’imprevisto non è stato l’uscita dall’aula dei 5stelle, ampiamente annunciata, ma l’inatteso e violentissimo ingresso in campo del Cavaliere armato di bastone. Una sorpresa che non è piaciuta affatto a Draghi: gli intimi lo descrivono furibondo. Per tutta la mattina gli azzurri hanno martellato con dichiarazioni sempre più dure contro i grillini, finché dopo il voto si è esposto il Cavaliere in persona: «Chiediamo al premier di sottrarsi a questa logica ricattatoria: urge una verifica di maggioranza per capire chi vuole sostenere il governo». La Lega si è accodata a stretto giro: «Bene così». L’affondo della destra della maggioranza al di là delle dichiarazioni di circostanza («abbiamo voluto aiutare Draghi», dicono dentro FI) ha un significato preciso: mettersi in mezzo e ostacolare il dialogo a distanza tra il premier e Conte su temi sociali e «di sinistra». 

Rivelatore in questo senso il colloquio tra il ministro M5s D’Incà e il capo dei deputati azzurri, Barelli: «Voi fate il vostro gioco, noi facciamo il nostro – spiega il forzista – Su alcune richieste siamo d’accordo, ma per noi reddito di cittadinanza e salario minimo non sono accettabili». L’attacco di FI veicola un messaggio anche più inquietante: se Draghi dovesse «cedere» alle richieste di Conte, la destra si irrigidirebbe specularmente intorno alle proprie bandiere. Ecco perché al termine della giornata tutto sembra uguale, ma tutto è in realtà molto più difficile. La tensione è palpabile ovunque: nel quartier generale dei 5stelle dove i senatori restano decisi a lasciare l’aula senza segnali forti del premier. Nelle sedi della destra che attende gli eventi con le sciabole già sguainate. E persino sul Colle dove confessano di non poter fare previsioni: «Di qui a giovedì le variabili in campo sono troppe».