Giovedì 16 Maggio 2024
ANDREA SPINELLI
Magazine

Zero maschere: "Ora bisogna metterci la faccia"

Tour-evento al via da Firenze. E Renato si schiera: "Giusto scendere in piazza a protestare. Il mondo non si cambia per delega"

Renato Zero

Renato Zero

Firenze, 3 marzo 2024 – Come Frida Kahlo, pure Renato Zero potrebbe dire di dipingere autoritratti perché quella raffigurata è la persona che conosce meglio. Uomo in vendita da una vita, il cantore dei migliori anni tratteggia sé stesso usando la tavolozza cromatica del kolossal da palasport con cui ha debuttato ieri sera di fronte agli oltre settemila fan del Mandela Forum di Firenze, primo concerto-evento dei sei in programma in riva all’Arno nell’attesa di sbarcare dal 13 marzo al Palazzo dello Sport di Roma per altri otto. Anche se in agenda ha appena inserito pure un paio di appuntamenti “open air” in quel di Bari e di Napoli (rispettivamente 14 e 21 giugno).

"La storia me la sono accaparrata" ammette. Lui, 73 anni. "Cinquant’anni fa mi esibivo con un Revox a bobine da cui, schiacciando “play“, attingevo di basi audio per cantare alla gente le mie opere musicali, solo come un verme, sul palco di discoteche enormi come il Baccara di Lugo di Romagna, il Patio, il Caravelle, il Picchio Rosso, il Picchio Verde. Una transumanza in solitaria con un pubblico così stupito dalla mia sfrontatezza da starmi lì ad ascoltare". Un pionerismo che gli è rimasto dentro nonostante la cattedrale di luce in cui officia ora il suo rito pagano, dando via con Il ritorno a una maratona di oltre tre ore che lo racconta recuperando pure gemme di repertorio rimaste un po’ più in ombra di altre negli ultimi anni come Salvami o Il grande mare. La quota dance è onorata da un medley con Il triangolo, Mi vendo, Resisti e Baratto. Effetto cocoon ne La pace sia con te col quadro scenico di un anziano che torna bambino e girandola di maschere in Come mi vorresti, mentre su I nuovi santi s’inseguono rappresentazioni della santa pazienza della santa ignoranza e delle altre santità di questi anni affannati. C’è pure un “identikit” dell’essere Zero ad opera di un “Professor Aliante” che ha la voce di Pino Insegno.

Un viaggio in trentuno canzoni in cui, tenendo fede all’ Autoritratto vagheggiato nell’album omonimo uscito a dicembre, Zero mette tutti i suoi volti passati, tutti i Renati che gli hanno insegnato a essere quello di oggi. Zero lo definisce uno spettacolo molto musicale. Che col suo senso della dismisura significa 21 musicisti sulla scena, tra cui (e questa è una novità) quattro fiatisti. Tutto, col supporto musicale (in video) dei 35 elementi dell’orchestra Piemme Project.

"Ma il mio sogno è quello di un one man show", assicura. "È quello di tornare a essere il Renato del Baccara di Lugo che, svuotata la pista da ballo, si metteva seduto sul palco a gambe incrociate, con le mani sulla testa, a recitare testi poetici". E – forse proprio col pensiero a sé stesso eterno giovane ribelle – a proposito delle manifestazioni pro Palestina e dei manganelli in strada, Renato si schiera con chiarezza dalla parte degli studenti, e di chiunque stia protestando: "Con la mia musica, con le mie esternazioni, ho manifestato tante volte. Ragazzi, Renato è con voi, io non sto sull’Himalaya, magari se mi gira ci vado pure io in piazza. La piazza è il tabernacolo, il confessionale di un paese, di un popolo, non dimentichiamo che in passato ci siamo scesi per cose molto più leggere di quelle che stanno accadendo ora". "Piazza del Popolo o Piazza del Risorgimento – continua – sono nomi che gridano, che urlano, che vogliono la gente insieme, il ricco con il povero, il bianco con il rosso. Io di maschere ne ho indossate tante, ma ora basta. Non ne metto più. Perché penso che nelle rivendicazioni si debba mettere la faccia. Non si cambia il mondo per delega".

La pensione? Può attendere. Ma non troppo. "Se lo dici lo devi fare" dice col pensiero all’ultimo giro di valzer annunciato da Claudio Baglioni. "La moneta lanciata in aria, quando cade, mostra la testa o la croce; non può rimanere in bilico. Per quel che mi riguarda, la cosa più elegante sarebbe scendere dal palco un 24 febbraio del 2027 o 2028, salutare sarta, macchinista, elettricista… e Renatino non c’è più. Il finale della favola deve essere leggero, evanescente. Poi, però, se m’incontrate per strada, fate finta di non vedermi. Perché, un saluto, potrebbe convincermi a tornare".

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