Giovedì 25 Aprile 2024

Il veterano Usa che bombardò i nazisti in Italia: gli incubi risvegliano la memoria

Il ‘New York Times’ racconta la storia di John Wenzel, il pilota americano che ha rimosso per tutta la vita la sua partecipazione alla Seconda guerra mondiale. Per poi ripiombare nell’orrore a 99 anni

Una scena di "Roma città aperta" di Roberto Rossellini

Una scena di "Roma città aperta" di Roberto Rossellini

Roma, 2 maggio 2023 – Altro che Top Gun, l'epica guerresca hollywoodiana, l'eroe a stelle e strisce che sfreccia nei cieli lanciando bombe dal suo aeroplano, si gonfia il petto di medaglie e la sua vita si trasforma nella saga inscalfibile dell'orgoglioso veterano. La storia che Michael Wilson racconta sul ‘New York Times’ è il contrario di tutto questo. Piu’ che a Hollywood siamo dalla parti di Sebald, dei tabù delle vittime civili dei bombardamenti sulla Germania colpevole, della “Storia naturale della distruzione”. 

E' la storia di John Wenzel, che ha vissuto fino a quasi cent'anni cercando solo di dimenticare tutto quello che aveva fatto durante la seconda guerra mondiale: le bombe lanciate dall'aereo sull'Italia invasa dai nazisti, le ferite riportate in quelle missioni, le medaglie.

Tutto rimosso per decenni, pochissime le parole di quelle imprese scambiate con la famiglia, le onorificenze chiuse nelle loro scatole e nascoste, tutto schiacciato e compresso in un angolo della sua anima.

Tutto troppo doloroso, probabilmente, anche se poi alla fine, a 99 anni, quel troppo dolore non ce l'ha fatta più a restare muto e nascosto, e ha preteso di riprendersi il suo spazio dentro all'uomo materializzandosi nei suoi incubi. Esplodendo. Come una bomba.

Gli incubi di John

La moglie Alice è morta da circa dieci anni. John Wenzel - racconta il ‘New York Times’ - ex dirigente di un'azienda automobilistica, padre e nonno, vive da allora in una residenza per anziani a Brooklyn Heights, il Watermark su Clark Street, un edificio sobrio con vista sullo skyline di Manhattan. Presto avrebbe compiuto 99 anni. Le sue giornate scorrono tranquille, John da solo con i suoi dischi jazz e la sua pittura. Ma all'improvviso, dal nulla, gli incubi. Teme di essere malato, teme che il suo fisico stia cedendo, ma i controlli medici non danno segnali d'allarme in tal senso. Le sue figlie, Emily e Abby, si preoccupano: il padre è sempre stato un uomo tranquillo, solido, mai scosso dall'inquietudine.

Sì, sapevano che aveva combattuto in guerra, che era stato un pilota di caccia e che era stato ferito, ma senza tanti altri particolari; da ragazze, in visita dalla nonna, la madre di John aveva mostrato loro, con orgoglio, le quattro medaglie di Wenzel, che lei conservava con cura.

"La nonna voleva che le portassimo a casa da papà", ha ricordato Abby Wenzel, che ora ha 63 anni. Le ragazze erano entusiaste - le medaglie erano così belle - ma la risposta del padre fu immediata: "Ci disse: 'Le ho prese in guerra e non le voglio'".

E' stato quando gli incubi hanno preso a tormentare il padre che le figlie hanno ripensato a quelle medaglie e a quelle parole, e hanno iniziato a ricostruire la storia dell'uomo, da lui mai raccontata, fino in fondo. Recuperano le scatole con le medaglie, insieme ad alcuni suoi vecchi appunti ritrovati. Uno è del 7 dicembre 1941, in Pennsylvania. "Il treno è arrivato da New York con molti ragazzi come me", scrive il padre. "Mi sono unito a loro."

La missione in Italia

L'attacco a Pearl Harbor aveva richiesto l'arruolamento di tantissimi giovani. John Wenzel ha 19 anni quando si arruola e viene inviato alla scuola di volo a Miami. Non era mai stato nemmeno su un aereo, ma nel 1944 era diventato pilota di caccia e fu inviato sul fronte italiano per combattere i nazisti. Avrebbe pilotato il cacciabombardiere P-47 Thunderbolt, l'unico con un'arma da otto tonnellate a pieno carico. "Non sono mai stato bravo a marciare o fare i saluti militari", scriveva in quegli appunti, "ma sono diventato un pilota piuttosto bravo".

All'inizio del '45 - prosegue l'articolo del ‘New York Times’ - il tenente Wenzel vola in varie missioni nel nord Italia, vicino a Milano e appena oltre il confine austriaco. Le sue bombe distruggono vagoni ferroviari dell'Asse e un grosso camion di benzina fuori da un deposito a Trento. A febbraio bombarda e mitraglia più di una dozzina di auto nemiche a Lienz, in Austria. A marzo, a Novara, distrugge una linea ferroviaria, lanciando razzi contro vagoni ferroviari nemici. In aprile tutto si fa ancora più drammatico: i combattimenti vicino a Verona, lungo il Po, a sud di Milano sono furiosi. Il tenente Wenzel effettua diverse missioni di attacco ogni settimana, guidando la sua squadra. "L'ironia", scrive nei suoi appunti, "è che stavamo lavorando più duramente che mai, effettuando alcune delle nostre migliori missioni, ma a un certo punto per la prima volta abbiamo iniziato a parlare apertamente di sopravvivenza".

Il 14 aprile Wenzel guida una squadra di quattro aerei da combattimento, fornendo supporto aereo alle unità che si spingevano verso un nodo ferroviario nei pressi di Zocca: le bombe di Wenzel centrano i cannoni nemici. Un proiettile tedesco esplode fuori dalla sua cabina di pilotaggio, i frammenti entrano nel suo aereo, gli feriscono il collo. L'impresa gli vale la prima medaglia, la prima Purple Heart.

A un passo dalla morte

La seconda Purple Heart la guadagna nella missione immediatamente successiva, pochissimi giorni dopo. "Le truppe tedesche erano su entrambe le sponde del fiume e stavano colpendo i nostri ragazzi con tutti i tipi di pistole", scrisse Wenzel. La sua squadra vola verso una fattoria dove si sono piazzati i nemici con le mitragliatrici. "Al nostro primo passaggio, sono stato colpito da sotto", scrive. Chiede a un altro pilota di controllare i danni, dal suo aereo. Sembra a posto, gli dice il ragazzo, ma il fumo inizia a riempire la cabina di pilotaggio del tenente Wenzel, il suo paracadute sembra essere in fiamme. Ciononostante continua a volare verso la fattoria. Un ufficiale gli ordina: "Non fare lo stronzo, John. Vai a casa". Lui risponde: "Ci stiamo divertendo troppo per tornare a casa."  La fattoria è colpita, la squadra di Wenzel si dirige verso Pisa e la sua base aerea. Ed è qui che Wenzel annota: "Ho iniziato a pensare che il vecchio avesse ragione. Il fuoco stava bruciando la cabina, il sedile, la mia cintura di sicurezza". Abbandonare l'aereo e paracadutarsi è impossibile. Riesce comunque ad atterrare a Pisa. Le fiamme dell'aereo vengono spente, un medico "mi ha strappato di dosso alcune schegge d'acciaio", scrive Wenzel: "La mia richiesta di un paio di pantaloni sostitutivi è stata respinta".

Il ritorno negli Usa

Il tenente Wenzel torna a casa alla fine del 1945. Si laurea allo Swarthmore College, in Pennsylvania, e va a vivere a New York. Gli piace dipingere in uno studio che affitta per 20 dollari al mese nel Lower East Side. Dopo una giornata passata a dipingere, si dirige verso casa, ma non ci arriva mai subito: si ferma al San Remo Cafe, sempre pieno di giovani veterani,  "persone come me", senza pace come lui, avrebbe detto in seguito, con le quali stare insieme senza interagire. Beve molto e sta da solo, in mezzo a loro. Se pensa ai giorni della guerra li chiama "i tempi bui". La guerra la chiama "un disastro".

Con gli anni quel "disastro" cerca di nasconderlo - per primo a se stesso - il più possibile.

Si sposa con una giovane assistente sociale, Alice Newman, insieme hanno due figlie. Vivono a Sea Cliff, a Long Island. Wenzel lavora alla Chase Manhattan Bank a New York prima di entrare a far parte della Ideal Corporation, che produce fascette stringitubo in acciaio inossidabile per automobili e aerei, per diventarne poi presidente. Ritiratosi, gioca molto a golf. Poi gli acciacchi dell'età, l'arrivo nella residenza degli anziani a Brooklyn, il centesimo compleanno che si avvicina, e il riemergere di tutto lo stress a cui era sopravvissuto da giovane.

All'inizio di questo marzo, poco prima del suo centesimo compleanno, Wenzel accetta un colloquio con uno psicologo, che si tiene nel soggiorno della sua residenza a Brooklyn. Accanto a lui, le sue medaglie, la prima volta che le vede da decenni: una Distinguished Flying Cross, una Air Medal, una Silver Star, i suoi due Purple Hearts.

Al dottore ha detto, della guerra: "Non c'era posto per parlarne e nessun modo per esprimermi".

Anni fa sua moglie voleva visitare l'Italia e, in particolare, Venezia. No, grazie, gli aveva risposto di riflesso. Non Venezia. "C'erano certi posti in cui non dovevi bombardare o sparare", ha spiegato di recente. “Venezia era una di questi. I soldati tedeschi l'avevano occupata e se la godevano". E questo lo faceva arrabbiare. Alla fine, ha ceduto e ha visitato la città con Alice. "A lei è piaciuta. A me no".

La spavalderia che aveva mostrato scrivendo che non voleva abbandonare la missione perché "troppo divertente per tornare a casa" lo ha abbandonato molto tempo fa, scrive il ‘New York Times’. Ora le medaglie riesce a guardarle. Al dottore ha detto che spera che storie come la sua possano impedire che la guerra sia dimenticata. "La guerra non dovrebbe mai essere presa alla leggera". La guerra è un disastro, è il buio dell’anima. Per ora, però, gli incubi di John sono cessati.

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