Nel 1724 Scipione Maffei, erudito noto in tutta Europa, fondatore dell’antiquarium nella sua città, Verona, allestiva un museo di iscrizioni nel gran cortile dell’Università torinese. Il progetto nasceva su ispirazione di Vittorio Amedeo II di Savoia, che voleva offrire un oggetto di studio agli studenti di quell’ateneo. Quella data viene festeggiata oggi come origine del Museo di Antichità al Palazzo Reale di Torino, collezione di grande prestigio, per solito meno frequentata dei popolari spazi del Museo Egizio. Nelle ampie raccolte dell’istituzione compaiono anche curiosità, come gli idoli fenici falsi, creati in Sardegna nell’Ottocento, che sono stati studiati come perfetto esempio di manipolazione di un passato. Nel 1739 il monarca aveva pensato di allargare le collezioni passando dall’epigrafia a una “camera delle curiosità” che raccogliesse tutti i materiali trovati sul territorio.
Una mostra, La scandalosa e la magnifica. Trecento anni di ricerche su Industria e sul culto di Iside in Piemonte, a cura dell’archeologa Elisa Panero (che firma anche una guida dell’esposizione), aperta fino al 10 novembre, ricostruisce un aspetto peculiare della diffusione della figura egizia, trasformata in una grande madre mediterranea al tempo dei romani, a cui si rivolgevano tutti quelli che si mettevano in viaggio, che affrontavano una nuova impresa o coloro che dovevano affrontare i problemi del vivere e imploravano aiuto dalla dea. Il titolo deriva da un testo tratto dal codice di Nag Hammadi, in cui la divinità riassume le sue mille opposizioni: “Io sono la prima e l’ultima/ la venerata e la disprezzata/ la prostituta e la santa, /io sono la sposa e la vergine/ io sono la madre e la figlia” e via di opposizione in opposizione, fino all’imperativo di rispettarla.
Il Po, via di comunicazione, portava a Industria, città che era importante per scambi, poi cancellata dalla Storia, i cui resti sono nel territorio del comune di Monteu da Po. Da qui vengono squisiti bronzetti che raffigurano la divinità come “salvatrice”. Dalla stessa area provengono una “situla”, ossia secchiello, in forma di testa umana, in cui venivano bruciati grani di incenso durante i riti, una mano votiva e un sistro, uno strumento metallico dal suono argentino che accompagnava le cerimonie.
Nel luogo del tempio sono stati ritrovati elementi che spiegano il tipo di rituali con ossa, chicchi di cereali, frammenti di pane sbriciolato, pigne, che erano bruciati insieme a legni resinosi. Le Lychnopsia, feste dedicate alla dea, prevedevano l’uso di molte lucerne perché si tenevano di notte, in un fluire di preghiere cantate in coro. I due ricercatori Antonio Rivautella e Giovanni Paolo Ricolvi trovarono a metà del Settecento una importante lamina di bronzo esposta che parla dei Postophori Industrienses, ossia i sacerdoti di Iside che avevano sede nella città. In quel luogo prosperava la Gens Avillia, che svolgeva affari in tutto il Mediterraneo, ed aveva propri esponenti a Delos, in un continuo traffico di merci e culti.
Industria in epoca celtica si chiamava Bodincomagus, ossia il mercato sul Po, a significare come e quanto lo snodo delle comunicazioni passasse in questi territori. La mostra, contenuta nelle dimensioni, ma preziosa e assai bene illustrata, indica anche la relazione simbolica con Api, figlio della dea, raffigura in veste di toro, connesso alla simbologia di Torino in epoca antica.