
Pino Daniele (1955-2015), cantautore simbolo della sua città
Roma, 4 gennaio 2025 – "Lui prendeva la chitarra e cantava. E cantava tutti noi e il vento e il mare e la pioggia sporca di una città che sopprime il proprio incanto sotto una costante automortificazione. Come ogni genio aveva annusato il cambiamento e lo aveva seguito, diventandone parte e indicando la strada agli altri". Maurizio de Giovanni c’era in quella notte del 7 gennaio 2015 in cui i centomila di Piazza Plebiscito salutano per l’ultima volta Pino Daniele, stroncato da un infarto tre giorni prima. In tantissimi capiscono, quella sera, che Pino rappresenta una delle figure più originali della musica italiana e napoletana, il flow di tutto. La sua capacità di fondere tradizioni e influenze diverse è il tratto distintivo che lo ha reso unico. Apparentemente lontano dall’immagine tradizionale dell’artista napoletano, ha saputo incarnare l’essenza di Napoli in modo profondo e innovativo, rendendola universale.
Il suo percorso, fortemente segnato dal blues e dal jazz, lo ha portato a rivoluzionare il panorama musicale italiano negli anni ‘70 e ‘80. Le collaborazioni con artisti italiani come Battiato, De Gregori, Vasco e Dalla testimoniano il ruolo di pontiere tra diverse correnti musicali. Allo stesso modo, la sua apertura al panorama internazionale, con figure di spicco come Pat Metheny, Eric Clapton, Chick Corea e Joe Bonamassa, lo colloca tra i più grandi ambasciatori del neapolitan power.
Pur partendo dalle radici napoletane (gli Showmen, Napoli Centrale, Mario Musella e James Senese) la sua musica supera i confini geografici e culturali. Ogni nota e ogni testo portano con sé il respiro di Napoli, dei quartieri popolari da Santa Maria La Nova alla Sanità dove Pino ha vissuto, ma anche l’apertura verso il mondo. Questo lo rende l’artista "più napoletano" proprio perché ha saputo universalizzare la napoletanità, trasformandola in un linguaggio senza tempo e senza confini.
"Pino Daniele è un sapore. È il sapore della mia gente, della mia infanzia, della mia prima chitarra, dei primi accordi, è il sapore di una pizza ‘a portafoglio’", sintetizza Dario Sansone dei Foja. A dieci anni dalla sua morte – il 4 gennaio 2015, per un infarto mentre si trovava nella sua villa, un podere nelle campagne tra Magliano e Orbetello in Toscana – Pino rilascia ancora sorprese.
A novembre è uscito Again, un brano registrato nel 2009, chitarra acustica e voce, una dimensione che quasi riassume il suo arco esistenziale di artista che tutti i giorni dedicava almeno cinque ore allo studio dello strumento e della musica. Ora, come ha annunciato Alessandro Daniele, il primogenito del cantante e presidente della “Pino Daniele Trust Onlus“, sarà pubblicato un album con dieci inediti. E poi incontri, kermesse e il docufilm-tributo Pino Daniele - Nero a metà del regista Marco Spagnoli scritto con Stefano Senardi, in sala da oggi all’Epifania, che punta proprio a raccontare il cantante come un rivoluzionario della santa trinità con Troisi e Maradona.
E rivoluzionario lo è davvero Pino, lontano dagli stereotipi del “cantante napoletano di giacchetta“: con i suoi album iconici – Un uomo in blues, Non calpestare i fiori nel deserto e Dimmi che succede sulla terra – ha cambiato le regole rendendo universale il suono del Mediterraneo. Pino si è nutrito di quei suoni e ha seguito le possibili connessioni che portano all’America del jazz e del blues e del soul, all’Africa, al mondo arabo (basti ricordare l’album Medina con il maliano Salif Keïta e il franco-algerino Faudel), alla musica colta in una sintesi formidabile e mai ascoltata prima.
Ma Pino Daniele era ed è Napoli. Nei vicoli, allo stadio, nei pub, le sue canzoni si continuano a suonare e a cantare in coro, perché la sua musica è voce naturale e viva della città che non intende restare chiusa e confinata nelle formule. È la modernità, è l’eternità.
"Con Pino la musica napoletana diventa moderna. La fusione della tradizione con tutto quello che veniva da fuori – il rock, il blues – ha influenzato e dettato legge, ha indicato una strada che per noi si è oggettivata in un crossover di suoni con base rock continua – dice Daniel Sanzone degli A67 – Per questo motivo lui continua ad essere l’artista più contemporaneo".