Venerdì 14 Giugno 2024
PIERO DEGLI ANTONI
Magazine

La mafia uccide anche d’autunno. "Io, Gioè, in tv per dissacrare i boss"

La Rai trasforma in una fiction il film di Pif sulle stragi di Palermo

Pif (Lapresse)

Pif (Lapresse)

Milano, 15 novembre 2016 - IL FILM diventa fiction, ormai è quasi una moda (e poi dicono che il cinema è morto). Stavolta tocca a “La mafia uccide solo d’estate”, la pellicola rivelazione di Pif che da lunedì (per 6 puntate) diventa accessibile a tutti attraverso la fiction di Raiuno. Protagonista è Claudio Gioè, mentre Pif sarà solo la voce narrante. Claudio Gioè, lei interpreta Lorenzo, il capofamiglia, un uomo con un forte senso morale ma che deve confrontarsi con le quotidiane pressioni mafiose. Un ruolo molto in chiaroscuro.

«È un uomo comune. Fin qui avevo interpretato sempre superbuoni o supercattivi, stavolta invece ecco un personaggio normale, che vive in una famiglia normale come lo è la maggioranza dei palermitani. Si indaga la quotidianità del male mafioso, che va dalla semplice raccomandazione alla criminalità organizzata. Si racconta una società endemicamente corrotta, che prende per normali cose che normali non sono».

Lei è palermitano. La fiction rispecchia la realtà delle cose?

«Io sono nato nel ’75, e la serie racconta avvenimenti del ’79. Ma me ne è rimasto il ricordo attraverso le parole dei miei genitori. Credo che l’atmosfera sia giusta»

Da allora Palermo e la Sicilia sono cambiate?

«Direi proprio di sì. Pif è della mia generazione, e abbiamo subìto gli stessi traumi, la sveglia con le bombe e il risveglio delle coscienze. Dall’insegnamento dei nostri padri abbiamo imparato a metterci la faccia in prima persona, a cominciare dalla denuncia di ciò che non va».

Nella cartella stampa si parla di «dissacrare i boss». È proprio il contrario di ciò che fa la serie “Gomorra”, che anzi li fa assurgere a modelli di comportamento. È d’accordo?

«Non ho visto “Gomorra”, ma penso che in qualche caso le serie hanno superato l’aderenza alla realtà, forse per raccogliere consensi tra i meno acculturati. In questo modo non si fa un grande servizio nella rappresentazione della realtà. Anche io, ai tempi del “Capo dei capi”, sono stato accusato di suscitare fascinazione. Ma è vero che nelle classi meno abbienti il personaggio del boss aveva e ha una certa presa, da palermitano me lo ricordo bene. Personaggi del genere cercano di autoalimentare una propria glorificazione, sarebbe impreciso non restituire, in una fiction, anche questo aspetto».

In più di un’occasione ha confessato che le piacerebbero ruoli brillanti...

«Qualcuno l’ho fatto. Ma anche in “La mafia uccide solo d’estate”, pur animati da una forte coscienza antimafia, c’è molto spazio per la commedia. E poi recito accanto a Nino Frassica che è un monumento della comicità, io sono cresciuto con i suoi romanzi di Sani Gesualdi».

A proposito di fiction “local”. Che ne pensa delle polemiche intorno a “Rocco Schiavone”, per via del protagonista, il vicequestore che fuma canne, ruba, picchia?

«Non le capisco. In letteratura, musica, nelle arti, è bello avere la diversità, rompere gli schemi. Se racconto un commissario con le sue debolezze va bene, ne esisterà almeno uno così! Nell’arte vai a raccontare le differenze, non quello che tutti conoscono. E se poi lo spettatore vuole il commissario integerrimo, c’è sempre Raiuno...».