Lunedì 29 Aprile 2024

"Non chiamateci belle. Vogliamo solamente sentirci libere"

di Marianna Grazi "Non diteci che siamo belle!". Non è una provocazione, piuttosto l’invito che Dalila Bagnuli lancia alpubblico che la...

"Non chiamateci belle. Vogliamo solamente sentirci libere"

"Non chiamateci belle. Vogliamo solamente sentirci libere"

di Marianna Grazi

"Non diteci che siamo belle!". Non è una provocazione, piuttosto l’invito che Dalila Bagnuli lancia alpubblico che la ascolta durante le presentazioni dei suoi libri, o i convegni e conferenze a cui è invitata a parlare. L’attivista e divulgatrice, 24 anni, nata a La Spezia e residente a Milano, affronta il tema della fat acceptance e del fat shaming, di una politica che oggi esclude e colpevolizza i corpi grassi. Ne è sicura: siamo tutti e tutte – lei compresa nonostante viva in un corpo considerato dai più non conforme – ‘affetti’ da grassofobia.

E allora invece di acclamare la body positivity agita come elemento di valorizzazione del sé, serve piuttosto la rivendicazione collettiva di spazi, tempi e opportunità, un vero e proprio movimento di liberazione dei corpi e per i corpi.

"Sono femminista per necessità – spiega –. Ma la lotta alla grassofobia è fanalino di coda delle lotte femministe: si sente sempre parlare ovviamente e giustamente di discriminazioni di vario genere, dall’omofobia all’abilismo, ma se ci fate caso mai o quasi mai si parla di quella che riguarda i corpi non conformi. Perché per quello c’è la body positivity no? Per rivendicare la propria bellezza ’per come si è’, per l’auto accettazione delle proprie forme, il famoso self love".

La risposta facile, stimolata da un preciso momento nella storia del femminismo legato ai corpi grassi: nel 2004, quando il marchio Dove pubblica in tv ’The real beauty campaign’, con cui sul piccolo schermo appaiono una serie di donne normali, che si scoprirà dopo che rientrano perfettamente nei canoni estetici standardizzati. "È un’appropriazione e annacquamento del messaggio politico che era stato lanciato in precedenza: gli slogan che arrivano fino ad oggi (’Ama te stessa così come sei’) sono frutto di un capitalismo che lucra sui corpi delle persone. La lotta per la liberazione dei corpi annientata".

Il mito della bellezza perfetta, standard, conforme è uno strumento di potere: allora il fatto che persone grasse abbiano la volontà di mostrarsi, di occupare uno spazio fino ad allora precluso, significa attaccare al cuore un sistema grassofobico che accomuna davvero tutti e tutte. "Il nostro sistema sociale è fatto per spingerci a consumare facendo leva sul senso di colpa – continua Bagnuli –: le donne crescono con il pensiero della bellezza come valore. Ma essere belle costa. E io tante volte mi sono chiesta: cos’è la bellezza? E non lo so. Tutti inseguiamo un solito standard ma abbiamo tutti gusti diversi".

Senso di colpa e stigma sociale, per le persone con corpi grassi, non conformi, vanno di pari passo. Sei grassa? È colpa tua, significa che sei pigra, che non hai forza di volontà per non mangiare o per dimagrire. "La magrezza è un valore, la grassezza una colpa. Si parla spesso di Fat spectrum, si stabiliscono dei gradi di grassezza e a quelli sono legate le discriminazioni subite. Io che ho una taglia 52/54 posso viaggiare tranquillamente, ad esempio, una che ha una taglia 56 deve comprare un biglietto in più", aggiunge.

Anche solo marginalizzare questo tipo di corpi ha uno scopo educativo per una società che deve imparare a non ingrassare, a educare i corpi conformi perché rimangano nella conformità. "Dovremmo smettere anche di associare la grassezza a una questione medica, quando lo stesso stigma medico impedisce tante volte a queste persone, a queste donne, di curarsi perché costantemente discriminate e aggredite dai dottori che, invece di guardare al quadro generale, consigliano loro di dimagrire come medicina di tutti i mali. Dev’essere una questione di rispetto invece".

La scrittrice e attivista non si limita alle constatazioni, e in conclusione suggerisce: "Lo standard estetico va abolito, ma l’autodeterminazione dell’estetica è fondamentale, dobbiamo riappropriarci del nostro corpo. Accettare il proprio corpo con l’idea di riprenderselo. Voglio smettere di essere un oggetto per diventare soggetto".

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